Gian Antonio Stella contro gli “incensator cortesi”
Nel nome della coerenza personale e del rigore professionale il giornalista mazzola il consigliere circoscrizionale palermitano che sul blog di Grillo ha lodato la Roma di Virginia Raggi
Un capolavoro a dir poco, sul Corriere di ieri. Il paragone scovato da Gian Antonio Stella tra “l’ìncensator cortese” della Roma grillina, tal Maurizio Alesi, e un antico canzonettista napoletano di nome Arturo Gigliati, era di quelli da lasciare a bocca aperta. Bravo Stella, brillante, rigoroso, da applausi. Spietato con il primo, “il violinista a cinque stelle”, che testé ha visto in Roma “una città impeccabile, fioriere ovunque, marciapiedi puliti ovunque ti giravi e di buche nemmeno l’ombra”. Implacabile col secondo. Il quale, dovendo presentare una canzone al Festival di Piedigrotta del 1937, anno di fascismo trionfante e di scarsa tolleranza verso le critiche, ebbe la geniale idea di intitolarla “Che peccato!”. Cantava, la storiella, di un mezzo yankee andato a Napoli per parlarne male, che peccato però: “Aver girato Napole / da capo fino a fondo / anche nel bassifondo / trovato civiltà! / Cercare su balcone / lenzuole appese fora / invece aver veduto / bandiere tricolore”. Così Stella ha mazzolato gli “incensator cortesi” di tutte le risme e di tutte le epoche, con infinito garbo e nessuna pietà, nel nome della coerenza personale e del rigore professionale. Giusto. Incaricato egli stesso dal suo giornale (era il remoto 1992) di raccontare nemmeno una città, ma le procure della Repubblica, mai infatti cortesemente le incensò. Le slinguò a sangue.