Un immigrato a Bologna
Un viaggio terribile, rischiando la vita, per poi arrivare in Emilia Romagna
Uno abbandona la sua tribù, l’estremo bisogno urla ormai di partire. Lascia la famiglia, allora. Era stata una grande famiglia. S’incammina da solo, non ha niente con sé, niente, attraversa a piedi il deserto, aspetta un barcone, poi un altro, finché, stremato, sale sull’ultima carcassa. In pieno inverno attraversa il mare in tempesta, trema di freddo, cade in acqua, oddio, è affogato, no, risale, sviene, e finalmente, terra! Tocca ai controlli. Le diffidenze, il razzismo, le impronte, l’analisi del sangue, Roma non lo vuole, si rimette in viaggio. Guarda al nord, c’è una speranza, forse, al nord. Lo fanno scendere a Bologna, annaspa verso una fessura di vita. Ne incontra tanti, lì, di favorevoli all’accoglienza, quei bolognesi non parlano d’altro che di accoglienza e lui, minoranza delle minoranze, più bruciato che nero, allora lui osa. Bussa timidamente alla porta del circolo, qualcuno apre e da dentro un vocione si alza: soccia, ragass, l’è quel postbusone di Casini!