Siamo fieri del Giro d'Italia filosemita
Ci piace da morire che le biciclette partano quest’anno da Israele
Ancora è in corso la pressione palestinista, così detta per dire di una complessa comunità araba la quale resta una via di mezzo tra ex giordani e non so, sui confini israeliani di Gaza. E l’altro giorno Abu Mazen, che sarebbe poi una via di mezzo tra un Arafat e un Fantozzi coi miliardi, ha scelto di indossare il vestito del primo, vale a dire di una via di mezzo tra Himmler e Nasser, per estrarre dalla kefiah una sua personale riedizione del Protocollo dei Savi di Sion, pubblicazione che rappresenta in maniera esemplare una via di mezzo tra la mascalzonata e l’orrore. Cioè: se la sono cercata, gli ebrei, Hitler coi forni glie l’ha fatta solo trovare. Bon. Prima in quanto europei, poi come italiani, siamo evidentemente orgogliosi di essere rappresentati in tutto ciò dalla commissaria Mogherini la quale, via di mezzo tra il nulla e il magico incrocio tra Obama e D’Alema, non pronuncia parola se non sente Teheran. Siamo fieri della mamozza nostra, in sintonia con l’Europa, epperò, lei ci perdonerà, restiamo filosemiti inguaribili. Fuori moda, in altri termini, povere vie di mezzo tra tradizioni e tendenze. Ci piace da morire, facciamola breve, che le biciclette del Giro d’Italia partano quest’anno da Israele. Prima tappa Gerusalemme, sede naturale delle prossime ambasciate, perciò a cronometro. Seconda in volata, sul lungomare di Tel Aviv, dove i bar sulla spiaggia fanno dei Negroni che levati. Terza a Eilat, 229 chilometri verso il Mar rosso tagliando il Negev. Siamo tutti una via di mezzo, questo è innegabile: tre tappe, poi di nuovo l’Italia. A pedalare. Dio quanto ci piace, però, che anche in Israele siano tappe di sola andata e il diritto al ritorno se lo pigli nel culo.