Non toccatemi la cabina
E basta, su, le parole hanno un peso. L’anima delle prime pippe delle vacanze di una volta non può essere la regìa dei soccorsi nel Mediterraneo
E basta, su, le parole hanno un peso, evocano immagini e ricordi. Vidi dal buco della chiave di una cabina immaginaria al mare Marylin Monroe, Jane Mansfield, Raquel Welch, Edy Vessel e Hanna Rassmussen, quella da un milione di lire fotografata e rifotografata sull’Espresso degli anni Sessanta formato lenzuolo. Nessun settantenne può averla dimenticata. Poi ci vidi Sofia, la Lollo e la Sandrelli. Siamo un paese di vecchi, dove Tito Boeri se la può tirare da Paul Newman stando all’Inps. Eppure sempre a menarla con ‘sta cabina. La cabina, parliamoci chiaro, fu l’anima delle prime pippe delle vacanze di allora. Punto. E la cabina di oggi sarà magari quella delle bonazze di Weinstein, o di Youporn, o al contrario di me-too. Ma sacra resta, la cabina, quasi che fosse l’Accademia della Crusca di un paradiso perduto. E sempre sarà, quella cabina, l’unica cabina: con la sua gnocca rincorsa dai buchi aperti sulle pareti e le sue pinne ben custodite dentro, insieme alla maschera. Comunque mai, caro presidente Conte (e cari titolisti del cazzo), essa sarà la cosa dove un coglione come lei dice di volersi rinchiudere con Junker per dar vita, appunto, “alla cabina di regìa dei soccorsi nel Mediterraneo”. Mentre un energumeno come il suo capo, quel Salvini di terra, quel tipastro là, sta tra l’altro accoppando il bagnino.