Salvini, giù le mani da Lerner
Noi sì che possiamo prendere a sberle il giornalista appena tornato in Rai. Ma lei, ministro, non si permetta
Se si sentiva questo bisogno di riportare in Rai Lerner? Sì, caro Salvini, si sentiva. Perché indossa il tweed e non gli ho mai visto una felpa. Perché lo indossa in maniera goffa, ma con buona volontà. Perché voleva essere Norberto Bobbio e non lo è stato, nascere a Torino e non c’è nato, dirigere la Stampa che Romiti concesse a Rossella, far parte del giro di Scalfari senza riuscirci, insegnare a Manconi, mentre Manconi insegnava a lui. Perché è salito sull’elicottero dell’Avvocato, all’attico di De Benedetti in Monserrato, poi anche nell’empireo delle idee di Prodi (a prescindere dall’Iri, così come dal tavolino che aveva sussurrato: Gradoli), e da tali altezze, le attese di una vita, parlava con sincerità agli sconfitti dai Quarantamila. Perché la casa in campagna, solo se vicina a Inge e a Franzo Grande Stevens.
Perché gli amici veri, se ce l’avevano fatta; o quelli finti, se non ce la faranno mai. Perché il talento maggiore che scoprì fu Mario Giordano. Perché fece Otto e mezzo con Ferrara convinto di arricchire il riformista che cresceva in lui, e prese sberle tali da trasformalo, direi per sempre, nemmeno nella cuoca acculturata di Lenin, di Di Pietro. O peggio, di un suo più consimile come Gherardo Colombo. Quanti perché ci sarebbero. Ma non riguardano lei, caro Salvini. Lei non capirebbe un solo motivo per il quale Gad, uno stronzo così per bene e così intelligente che manco se l’immagina, possa venir preso a sberle. Se serve in Rai? Magari ce ne fossero due. Noi sì che possiamo menarlo. Noi. Ma lei, teppistello, tenga giù le mani.