La casta dei giornalisti faccia mea culpa
I colleghi che da anni coltivano grandi rapporti con i magistrati chiedano scusa
La fissa, anche quella di fare nomi (che non si deve), è solo mia e chiedo scusa. Ma le caste riguardano tutti. Brutta roba le caste, vero? Per l’appunto. Se la giornalista Fiorenza Sarzanini del Corriere abbandonasse con un bacino i pm che da vent’anni le passano notizie sopra il banco, o sotto. Se Gianluigi Nuzzi, ex Giornale, ex Milano Italia, e adesso che ne so, si congedasse dall’alto magistrato romano che coltivò con lui quel rapporto, diciamo così, non ostile. Se il giornalista Paolo Colonnello raccontasse di quando Antonio Di Pietro lo fece assumere alla Stampa grazie ai succhiotti più risucchianti del nord-ovest. Se il giornalista Paolo Mieli, sommo maestro, la smettesse di fare il furbo invitando altri colleghi a porgere sentite scuse, mentre lui se la cava con un’ammissione di colpa fasulla ogni dieci anni. Se il giornalista Bolzoni inviasse un bacetto riparatore alla pletora di innocenti accusati da lui stesso sul suo giornale grazie ai magistrati di cui sa. E se lo stesso facessero (trascurando per un attimo la mandria del travagliume), il giornalista Bonini, tanto per dire, o l’ex giornalista Lodato, o il giornalista Ferrarella, o i colleghi Sallusti, Belpietro e Feltri senior, poi qui mi fermo per via che coi nemici sto esagerando, ecco allora come l’insormontabile scoglio delle nuove regole per eleggere il Csm, presidio di una casta niente male, assumerebbe la consistenza di una cacchina galleggiante tra le Azzorre.