La stanza proibita di casa Formigli
"No, lì non ci entro". E Corrado se ne corse via. Io sgattaiolai lì dentro. E rimasi di sasso
“Lì no, t’ho detto di no”. Saranno state le sette ieri sera, o come dice lui le diciannove, quando Corrado Formigli s’è irrrigidito per la prima volta. Era stato un bonbon, fino a quel momento. Mi aveva guidato attraverso gli sterminati piani regolatori della sua casa sopportando qualche motteggio, più un paio di pesanti goliardate, avevamo cenato, pranzato e fatto colazione per quattro giorni di fila ed era passato due volte, senza colpo ferire, perfino sull’inevitabile ironia riguardo all’aver denominato in quel modo (“I Telese”, l’ aveva battezzata) la chilometrica teoria dei suoi bidet. Pensava di aver valorizzato, con quella targa, sia i bidet che i Telese. Non ci aveva preso, a parer mio. E glielo dissi. Lui? Nemmeno una piega: “Ma in quella stanza no, ti ripeto di no”. E no sarebbe stato. Quand’ecco, sul serio inaspettato, il colpo di culo. Saranno state le sette e cinque, o forse le diciannove e cinque, come senz’altro le segnalerebbe il conte di Piazzacristo, allorché un grido più affettuoso che imperioso attraversò il grand canyon che divideva la zona giorno dalla zona notte: “Corrradoooo? E vieni, dai!”. E Corrado se ne corse via. E io sgattaiolai, tal qual vigliacco, nella stanza proibita. E rimasi di sasso. C’era soltanto una targa d’oro di nove metri per dodici: “Lo so anch’io che soprattutto sono noioso”.
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