Andrea's version
Quando padrone dei giornali era il lettore (finché un telefonatore non telefonava)
Ricordate, vecchi colleghi sempre al passo: un tempo bastava una chiamatina dalle Procure per disapprovare idee approvate cinque minuti prima senza che il lettore ne sapesse un cazzo
Ricordi. Peccato che a dirigere giornali pesanti trent’anni fa, e pesanti adesso come piuma di culo di pavone, non ci siano più quei direttori, magnifici sempre, che si sono dedicati finalmente alla forza delle proprie libere idee. Paolo Mieli, Ezio Mauro, Walter Veltroni. Che nomi! Gente che faceva di testa propria e che, comunque solo dopo un ordine, di testa propria disfaceva. Quelli che padrone unico era il lettore, ma che disapprovavano idee da loro stessi approvate cinque minuti prima senza che il lettore ne sapesse un cazzo. Bastava una chiamatina dalle Procure. Ricordate, vecchi colleghi sempre al passo? Ricordate quando la legge Biondi, passata quasi con l’applauso tremebondo dei tre Zorro, divenne d’un botto “il colpo di spugna”? Ricordate, che Dio poi li perdoni, gli Scalfaro e i Borrelli, con la telefonata infame del colpo gobbo? Ricordate quei vessilliferi del giornalismo maiuscolo, non già della politica mascalzona, piuttosto della scuola socratica di un’informazione disposta alla cicuta pur di non cedere? Ricordate quando pubblicavano con gli stessi caratteri di stampa che avrebbero usato per l’opposto, dell’opposto, dell’opposto? Ah, la vita, quale sorpresa inattesa, infame e magnifica è la vita. Padrone era il lettore, certo. Finché un telefonatore non telefonava. Niente di speciale, intendiamoci. Ma non circola puttana, al momento, la quale non tenga le mutande in testa piazzate sulle ventitré, e calate preferibilmente a sinistra, per il dispiacere che alcuni burloni abbiano messo in giro la voce che, la ricattabilità per tutti, minchia se esiste.