
LaPresse
Andrea's Version
La vecchia comunità dell'ardente Repubblica
Nulla ha più importanza se arriva un pentimento ammirevole come quello di Concetto Vecchio di domenica scorsa. Tutto è perdonato ai fantasmi piccini del gigante di un tempo
Ma cosa importa che ci abbiano costruito sopra soldi, carriere, calunnie e salotti per trent’anni? Che lo Scalfari infine milionario e la sua corte di Giannini da centomila lire siano stati tra i maggiori portatori mezzi sani di porcheriole? Cosa importa dei partiti distrutti, del dipietrismo al potere, di Grillo e di Cuore e di Conte, o delle famiglie fatte a pezzi tra i risolini, o di quell’autocompiacimento per il ruolo osceno e lo spropositato senso di sé, venerato allora da tutta l’informazione inginocchiata? Niente, importa. Zero, importa, se arriva un pentimento ammirevole come quello squadernato da Concetto Vecchio su Repubblica di domenica scorsa. Dove si racconta ciò che “Craxi potrebbe ancora insegnare alla sinistra”; dove si dipinge Ghino di Tacco quale “statista come più se ne trovano”; dove “è vero, questo giornale non fu tenero con Craxi, ma lui vide con anticipo il Paese”; dove le volgarità ripetute dei D’Alema o dei Veltroni, avvolte ora nella bambagia, spiccano lo stesso al ricordo delle autentiche infamie che furono.
Complimenti quindi alla vecchia comunità dell’ardente Repubblica. Complimenti alla faccia pulita, privata del bronzo. Alle lacrime sul latte versato in quei frangenti, riversato e riversato poi lungo tre decenni, senza peraltro che sia finita. Complimenti per i fantasmi piccini del gigante che fu La Repubblica di un tempo, i quali, piccoli cari, infine si scusano. E con sincerità, parrebbe. La sincerità un po’ unta di chi saprebbe ripetere le identiche cose, forse, però praticando prima quel minimo di training autogeno per evitare, la prossima volta, di lasciare le impronte sul cadavere.



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