Che c'azzecca Di Pietro con l'happy hour?
Questa non ce la aspettavamo, non essendo noi Walter Veltroni. Non ci aspettavamo di dover fronteggiare il fuoco-amico di Antonio Di Pietro. E invece, proprio nel giorno in cui ci apprestavamo a rispondere ad alcune critiche sopraggiunte da Nord a questa rubrica, al grido di “l’aperitivo è torinese”, Di Pietro ha organizzato un aperitivo. Già è difficile capire che cosa c’azzecchi Di Pietro con l’happy hour, sia esso a base di vino, birra o mojito (drink garantista nonostante i trascorsi antilibertari cubani, garantiamo noi). Già facciamo fatica a vedere Di Pietro con in mano un Martini dry, meglio se dell’Hotel Plaza di New York, come consiglia un lettore bon vivant.
Questa non ce la aspettavamo, non essendo noi Walter Veltroni. Non ci aspettavamo di dover fronteggiare il fuoco-amico di Antonio Di Pietro. E invece, proprio nel giorno in cui ci apprestavamo a rispondere ad alcune critiche sopraggiunte da nord a questa rubrica, al grido di “l’aperitivo è torinese”, Di Pietro ha organizzato un aperitivo. Già è difficile capire che cosa c’azzecchi Di Pietro con l’happy hour, sia esso a base di vino, birra o mojito (drink garantista nonostante i trascorsi antilibertari cubani, garantiamo noi). Già facciamo fatica a vedere Di Pietro con in mano un Martini dry, meglio se dell’Hotel Plaza di New York, come consiglia un lettore bon vivant. Quel che è peggio, però, è che l’aperitivo dipietrista avveniva al Caffe Letterario di Roma (torinesi abbiate pazienza, c’entrate anche voi, tra poco capirete), un luogo che si autodefinisce “spazio polifunzionale di 1200 metri quadrati” e che dunque NON può essere aperitivamente accettabile, giacché la Prima Regola dell’aperitivo impone che il posto scelto sia sufficientemente angusto da permettere di attaccare bottone senza apparire sfacciata/o. Forse qualcuno può consolarsi nell’apprendere che il Caffè Letterario piace a Giovanna Melandri, noi invece raccogliamo la sfida con il neoaperitivista Di Pietro, ministro uscente delle Infrastrutture, e ci concentriamo sull’Alta Velocità, giacché a nostro avviso è nel collegamento intermittente tra regioni nordiche che si radica la critica rivoltaci sul blog “Giangiacomo’s thinkthank” – quello del post “sull’aperitivo torinese”, per intenderci, che, pur attaccandoci, ci segnala l’impronunciabile locale Caval d’Brons (che vorrà dire?) e i più rassicuranti Gabetti e Mood (grazie). Ci appelliamo a Sergio Chiamparino e Letizia Moratti: cari sindaci, possibile che Torino debba rubare a Milano la primogenitura dell’aperitivo? Cos’è, una manovra diversiva per non parlare di treni rapidi nelle valli? Sia come sia, noi, da romani vissuti qualche anno a Milano, ci ribelliamo alla tentata usurpazione torinese e dichiariamo di provare irresistibile nostalgia per l’aperitivitudine meneghina e per l’usurato bar Radetski, che vince sui nuovi bugigattoli chic di Corso Garibaldi nonostante i tavoli appiccicati e appiccicosi, e a dispetto del proprietario scorbutico. Al solo pensiero che il neodemocristiano Gianfranco Rotondi, poi, approdi a Milano per offrire mozzarelle proibite all’happy hour in pieno centro – così promette – proviamo un desiderio irrefrenabile di fare un salto alla defilata Belle Aurore (surrogato nordico-snob in miniatura di ciò che era un tempo il Bar della Pace a Roma) o di affondare nel disordine dell'Union, ruspante ritrovo di giovani tenebrosi e foglianti autoctoni in zona Città Studi, o, addirittura, di mescolarci ai “cummenda” che sgomitano con i gran signori nel giardino d’inverno dell’Hotel Diana.
Il Foglio sportivo - in corpore sano