Parigi val bene un aperitivo, ma non al Deux Magots. Consigli a Fini e Schifani
Sarà pur vero che Simone de Beauvoir ha ucciso Madame Bovary (lo scrive Bernard-Henry-Lévy e lo riporta il Corriere della Sera), ma sorge il dubbio che la scrittrice, come par di capire dalle ultime interpretazioni biografico-letterarie, abbia avuto, sotto sotto, anche una voglia matta di uccidere Jean Paul Sartre, specie dopo tutti quegli anni di crudelissima coppia aperta e tutti quegli aperitivi in sua esclusiva compagnia al caffè letterario Deux Magots, a Saint Germain des Prés, a Parigi. Un luogo dove ci si può fermare per la colazione con sommo piacere, ma per l’aperitivo, per favore, no.
Sarà pur vero che Simone de Beauvoir ha ucciso Madame Bovary (lo scrive Bernard-Henry-Lévy e lo riporta il Corriere della Sera), ma sorge il dubbio che la scrittrice, come par di capire dalle ultime interpretazioni biografico-letterarie, abbia avuto, sotto sotto, anche una voglia matta di uccidere Jean Paul Sartre, specie dopo tutti quegli anni di crudelissima coppia aperta e tutti quegli aperitivi in sua esclusiva compagnia al caffè letterario Deux Magots, a Saint Germain des Prés, a Parigi. Un luogo dove ci si può fermare per la colazione con sommo piacere, ma per l’aperitivo, per favore, no – ancora oggi lo champagne è troppo caldo, le olive troppo untuose, per non parlare dei toast secchi e spezzettati che figurano come accompagnamento. Premettiamo che l’aperitivo a due, a nostro avviso, se i due aperitivisti costituiscono una coppia già da mesi o anni, è sempre foriero di liti (troppo alcol in circolazione, troppo tempo per sviscerare i problemi senza gli amici a far da cuscinetto). Peggio mi sento se la coppia è aperta ma l’aperitivo è esclusivo, come nel caso Sartre-De Beauvoir. Detto questo, non abbiamo molte occasioni di prendere aperitivi al Deux Magots, ma una sera ci è bastata, e si sa che a Parigi chiunque può capitare, di passaggio, una volta nella vita: che serva d’avvertimento. D’altronde il vizio di servire olive troppo oleose, immangiabili se non dopo aver imbrattato la camicia, non è soltanto parigino, ma anche milanese (fanno fede le olive del Cova, luogo eletto di Eugenio Scalfari, secondo la sua autobiografia) e persino caprese – e chissà se i presidenti di Camera e Senato, Gianfranco Fini e Renato Schifani, frequentatori occasionali dell’isola partenopea, se ne sono accorti. Nella famosa Piazzetta, infatti, i bar servono bicchieri di Falanghina a temperatura discutibile, con una ancor più discutibile aggiunta di olive naviganti in un pozzetto d’olio salatissimo. Non va meglio se si ordina il tradizionale sgroppino: sempre olive affogate arrivano sul tavolo, al massimo qualche nocciolina smunta, roba che nemmeno alla festa della scuola media. Se non si è turisti semplici, ma amici di qualcuno, meglio comprare del pane fresco all’antico Forno caprese e farsi invitare a bere qualcosa sulla terrazza del conoscente non del tutto ignorante in tema vinicolo. Se invece si è turisti fai da te, si consiglia di rivolgere un’apposita petizione a Fini (titolo: “Meno olive per tutti”) e tornare nella più aperitivisticamente abbordabile città di Napoli, dove, non lontano dai sacchi di monnezza, si può sorseggiare un prosecco all’antico caffè Gambrinus, letterario almeno quanto il parigino Deux Magots, e attendere colà, nell’ebbrezza, il prossimo Consiglio dei ministri (in trasferta per volere berlusconico).
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