Lui, i nostri anni
Giocando con il secolo, Wojtyla ha accelerato e fermato il tempo sfrondando le smanie moderne
I segni dei tempi erano invocati nella Chiesa paolina come eterno tormento, domanda senza risposta: leggere la modernità e trasformare in smaniosa sociologia la religione, per partecipare alla parata, oppure riappartarsi nella sacralità del corpo mistico e separarsi dalla tendenza? La risposta del papato giovanpaolino fu fin dall’inizio un rilancio generoso, luccicante, carnale e storicamente “grande”: il segno dei tempi lo lascia il Papa, con il suo proprio corpo danzante, con i colori del mondo visitato in successione continua, con il primato dottrinale riaffermato nell’autorità e nella lotta, con l’esercizio del potere politico e sociale di una grande istituzione terrena fondata su uno speciale e quasi dimenticato rapporto con il racconto cristiano e la trascendenza, vivificato dai movimenti ecclesiali che travolgono la routine pastorale. Sta al Papa cattolico smuovere il tempo e anche fermarlo, sfrondando le smanie moderne. E lo farà. Lo farà in un peculiare, fortissimo e polemico rapporto con le altre religioni, mettendo loro a disposizione la miscela esplosiva della preghiera in comune, dei mea culpa e della rivendicazione veritativa del cristianesimo. Lo farà nel dialogo culturale con i non credenti, costretti a misurarsi con l’esercizio di ragione di cui è capace una Chiesa moderna e primigenia al tempo stesso, che rivede il processo a Galileo, costruisce una soluzione per i trapianti d’organo, ma non si piega al relativismo e al riduzionismo positivista della scienza come idolo, e combatte la sua battaglia intorno alla morale sessuale e al ciclo della vita e della morte, dalla procreazione all’eutanasia, rivendicando una libertà che la secolarizzazione le concede sempre più malvolentieri.
Al corpo sociale fatto di comunità di base si sostituisce rapidamente una visibile sommità politica, un vertice che si mette in discussione per diventare sempre meno discutibile, una guida carismatica capace di “lasciare letteralmente a casa la curia di Roma” (Alberto Melloni), viaggio dopo viaggio, e di curare i mali della Chiesa fuori della Chiesa, in rapporto con il mondo e con i mondi attraversati dal cristianesimo latino o ad esso riluttanti. Ma subito centrale diventa la sfida politica, il confronto diretto con l’eredità storica del Novecento, il totalitarismo sopravvissuto, l’impero ateo di matrice sovietica che si era mangiato la Polonia e l’intera Europa centrale dopo la guerra contro il nazismo. Il Kgb sa, comprende, agisce ma fallisce mentre l’onda si è già sollevata dai cantieri di Danzica e dal santuario della Madonna Nera. Qui Giovanni Paolo II, dentro la storia con Margaret Thatcher e Ronald Reagan, smuove il suo tempo e genera rivoluzione. Lo fa anche nella Chiesa, e dove l’esercito teologico della “liberazione” aveva tentato un’alleanza dei diseredati in Cristo, il magistero petrino impone la sua filosofia anticomunista e antitotalitaria della libertà, con quell’energia selvaggia tipica dell’umanesimo eroico dei polacchi, allea trono e altare e fa del papato regnante un segno di riunificazione cristiana dell’Europa al quale mancheranno soltanto i bolli costituzionali di Bruxelles, ma non la sostanza del fatto storico e spirituale.
[**Video_box_2**]Tra i segni dei tempi, sempre ambigui quando non tenebrosi, Giovanni Paolo II ha scrutato nel profondo il segno impresso dallo sterminio degli ebrei d’Europa nella condizione contemporanea. E ha agito con straordinaria efficacia, visitando la Sinagoga della sua città e recandosi in pentimento cattolico al Muro del pianto di Gerusalemme. Gesti indimenticati, pesanti, di ispirazione radicale, che hanno compiuto il documento conciliare “Nostra aetate” e lo hanno riscaldato, riacceso, riconsacrato nell’esperienza e nella testimonianza diretta, oltre il freddo della dottrina positiva. E’ un lascito di rilevanza impressionante, che si intreccia con la riflessione sull’occidente e sulla questione antropologica, cara a Joseph Ratzinger e a Camillo Ruini, soprattutto dopo l’11 settembre, la prima spettacolare battaglia di civiltà del XXI secolo. Anche qui il calore e la lucidità rivoluzionaria di un papato durato un quarto di secolo, e oltre, hanno intrecciato fede e cultura in un lavoro di rielaborazione razionale della dottrina cristiana che ha i suoi catechismi, la sua saggistica laica, la spericolata capacità di parlare al mondo e nel mondo senza confondersi, senza offuscare i confini. Giovanni Paolo II è stato considerato dalla cultura liberal un Papa conservatore se non reazionario; non hanno accettato la sua tenacia, non hanno voluto legittimare come un pensiero del nostro tempo il suo bagaglio etico, il suo tesoro filosofico, la sua semplice predicazione ed evangelizzazione fondate sulla possibilità che i tempi debbano essere corretti, guidati, ammaestrati in una dialettica di obbedienza e disobbedienza senza la quale il tempo langue, la fede vacilla, l’intelletto soffre.
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