Caro Francesco Merlo, non credo tu voglia far tacere la verità
Caro Francesco Merlo, è sabato ore 8 e trenta del mattino. Sono a Fiumicino. In partenza per Genova, e saranno parole. Poi Albenga, e saranno parole. A me il silenzio piace. Ma tu chiedi quel silenzio, quello lì, il silenzio sulla verità. Come faccio?
Caro Francesco Merlo, è sabato ore 8 e trenta del mattino. Sono a Fiumicino. In partenza per Genova, e saranno parole. Poi Albenga, e saranno parole. A me il silenzio piace. Ma tu chiedi quel silenzio, quello lì, il silenzio sulla verità. Come faccio? Lo chiedi in nome del dramma di una donna a Napoli, e mi rimproveri di volerla fare impazzire di dolore dopo l'aborto di un bambino malato. Riguardati il Foglio e il tuo giornale in questi giorni. Vedrai che di Napoli non abbiamo nemmeno dato notizia, mentre Repubblica sparava in prima pagina la montatura sul blitz. Vedrai che abbiamo parlato solo per dire che in tutto quel disgustoso chiasso ideologico e cronistico, violatore della privacy di una donna intervistata dopo essere stata interrogata, e sbattuta sul giornale, e gridata nelle piazze come simbolo di un diritto, solo la verità delle cose era rimasta imprigionata nel silenzio: un bambino ucciso perché malato. Non ti conosco come un ipocrita. Non credo tu voglia far tacere la verità con l'arte della retorica sofistica. Rileggi i fatti e concludine come ti detterebbe, non una citazione fuori squadra di sant'Ambrogio, ma la tua ragione e la tua ragione del cuore, perfino. Provaci, Francesco. La verità abita dentro l'uomo, si sa. Ma un giornalista o semplicemente un laico, che alla verità sia devoto, deve dirla senza fanatismo, senza accettare un banale litigio con Pannella. Ripensaci, se vuoi.
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