Nell'urna degli ayatollah
Good Morning Teheran, qui Gerusalemme
Good Morning Teheran, qui Gerusalemme. Sulle onde corte di Radio Voce d'Israele si parla di elezioni parlamentari in Iran, in farsi e non in ebraico. Non ci sono sorprese: i conservatori del presidente Mahmoud Ahmadinejad hanno mantenuto la presa sul majlis, l'Assemblea. Menashe Amir, 68 anni, conduce il suo programma di 85 minuti al giorno, compreso shabbat, si ferma soltanto a Youm Kippur. E' un ebreo iraniano, nato e cresciuto a Teheran, in Israele dal 1959. Dopo il bollettino di notizie, arrivano le chiamate degli ascoltatori: da Israele, dal resto del mondo, da ovunque ci siano comunità della diaspora iraniana, ma soprattutto Amir riceve telefonate dall'Iran, attraverso un ufficio in un paese terzo, la Germania.
Good Morning Teheran, qui Gerusalemme. Sulle onde corte di Radio Voce d'Israele si parla di elezioni parlamentari in Iran, in farsi e non in ebraico. Non ci sono sorprese: i conservatori del presidente Mahmoud Ahmadinejad hanno mantenuto la presa sul majlis, l'Assemblea. Menashe Amir, 68 anni, conduce il suo programma di 85 minuti al giorno, compreso shabbat, si ferma soltanto a Youm Kippur. E' un ebreo iraniano, nato e cresciuto a Teheran, in Israele dal 1959. Dopo il bollettino di notizie, arrivano le chiamate degli ascoltatori: da Israele, dal resto del mondo, da ovunque ci siano comunità della diaspora iraniana, ma soprattutto Amir riceve telefonate dall'Iran, attraverso un ufficio in un paese terzo, la Germania. E' una specie di Radio Londra in versione farsi, ma non sono soltanto i dissidenti a voler parlare in diretta ai microfoni dell'emittente che trasmette da Gerusalemme ovest. “Chiamano sostenitori del regime e avversari, è assolutamente vietato l'insulto alle istituzioni e all'islam e le telefonate sono prese in diretta”, dice il conduttore e direttore del programma. Ha i capelli di un bianco candido, gli occhi tagliati a mandorla come un bassorilievo dell'antica Persepoli. Nella sua casa di Har Hadar, sulle colline appena fuori città, i tappeti persiani e il profumo di una speciale miscela di té in arrivo dall'Iran fanno credere per un attimo di essere in un sobborgo di Teheran. La televisione è accesa su Voice of America, versione farsi, i giornali sul tavolino sono invece in ebraico. Nei giorni passati la questione delle urne iraniane è stata al centro delle trasmissioni della radio. “Gli ascoltatori hanno chiamato e in molti hanno definito le elezioni una nomina, non un voto”. Sono infatti oltre 1.700 i candidati cosiddetti “riformisti” cui è stato impedito di correre. Alle urne si sono presentate due correnti di conservatori: una legata al presidente Ahmadinejad, l'altra più pragmatica vicina all'ex negoziatore nucleare Ali Larijani e al sindaco di Teheran, Mohammed Baqer Qalibaf, un ex comandante della Guardia Rivoluzionaria. “Il dibattito tra gli ascoltatori si è focalizzato sulla necessità di boicottare o no il voto di oggi”. Spiega Amir che il governo iraniano può senza alcuna fatica intercettare le chiamate alla radio del “Piccolo Satana”, come il regime degli ayatollah definisce da sempre Israele. Lui però non ha mai avuto notizia di ascoltatori iraniani che abbiano ricevuto una visita delle autorità. Dice che probabilmente la radio è considerata da Teheran, assieme ad altri mass media in farsi con sede all'estero, una valvola di sfogo esterna per il malcontento. Per Amir, queste elezioni sono allo stesso tempo irrilevanti e importanti. Irrilevanti perché il Parlamento non ha potere di fare e disfare le leggi e l'ultima parola è sempre del Consiglio dei Guardiani della Costituzione, formato da dodici membri: sei giuristi e sei religiosi. Importanti perché il majlis resta comunque un forum di discussione nazionale vitale, anche se i pochi “riformisti” al suo interno sono riusciti finora a sollevare rari dibattiti. In occidente si parla di “riformisti”. In Iran si dice “esla talaban”, coloro che chiedono la riforma, anche se il verbo da cui viene il sostantivo più che cambiare e riformare in farsi significa correggere, aggiustare, come si aggiusta una barba dal barbiere o si sfoltisce un'acconciatura dal parrucchiere. Il signor Amir è molto richiesto da quando l'Iran e il suo programma atomico sono diventati questione centrale nel dibattito interno israeliano, americano e in parte europeo. Stando alle telefonate dei suoi ascoltatori, tre o quattro anni fa la maggior parte degli iraniani era in favore del piano atomico nazionale, della costruzione della Bomba. Oggi, spiega Amir, in parecchi realizzano che il nucleare può invece trasformarsi in una minaccia per la stabilità e la sicurezza del paese. Inoltre, spiega, c'è chi si rende conto che “quando il regime avrà la Bomba sarà più difficile rimuoverlo”. Per il conduttore radiofonico, le sanzioni imposte a Teheran dalla comunità internazionale non sono abbastanza. “E' necessario produrre una minaccia militare molto reale. Non è detto che vada poi utilizzata, ma ci deve essere da parte della comunità internazionale una decisa intenzione di voler mettere fine al piano atomico”. In un Iran più sicuro, stabile e democratico, dice, paesi come l'Italia, che ha con Teheran consistenti accordi commerciali, o la Germania, altro attore finanziario nel paese, potrebbero ingrandire il loro giro d'affari.
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