Nel '68 avremmo manifestato contro la Cina e boicottato le Olimpiadi
Walter batti un colpo per il Tibet libero
Sembra che il principale motore della nostra politica estera sia non la paura, ma una spietata mediocrità. Essa indossa la friabile maschera dell'intelligenza tagliente di D'Alema. Di fronte allo scempio di vite, e al senso di impunità quotidiana che neanche l'Iran, in ogni azione funesta operata dalla repubblica popolare cinese, in Europa non accade mai niente. Il nostro numero uno alla Farnesina, attualmente in auspicabile congedo illimitato, oppone un garbato ragionamento il cui fulcro è non fare niente che si noti.
Sembra che il principale motore della nostra politica estera sia non la paura, ma una spietata mediocrità. Essa indossa la friabile maschera dell'intelligenza tagliente di D'Alema. Di fronte allo scempio di vite, e al senso di impunità quotidiana che neanche l'Iran, in ogni azione funesta operata dalla repubblica popolare cinese, in Europa non accade mai niente. Il nostro numero uno alla Farnesina, attualmente in auspicabile congedo illimitato, oppone un garbato ragionamento il cui fulcro è non fare niente che si noti. Potrebbe persino avere un senso, se non fosse che poi, nel suo caso, il passo successivo è non fare niente neanche la dove non si noti. Non fare mai veramente niente. Attendibile o no, la dichiarazione riportata da un'agenzia, possiamo stare sicuri che è però realistica. La nostra politica estera, ancorché del nuovo Partito Democratico, continuerà a porgere la mano e a dare ufficiale e continuato riconoscimento a quelle forze politiche che governano con la repressione e la violenza; a chi sino a qualche mese fa era condannato come terrorista. E insomma a una nazione che in queste stesse ore, e minuti, sta facendo scempio di vite umane, e fa ciò che vuole del Tibet e dei tibetani, proprio come accade a noi quando disponiamo delle nostre pantofole. Le mettiamo, le togliamo, le lanciamo per terra, e se vengono a noia le buttiamo tra l'immondizia. Il Tibet, e i tibetani, per i quali non si intende fare niente di deciso, sono le pantofole della sinistra, tuttalpiù i mocassini indossati a qualche convegno, o in occasione di una prima cinematografica con Richard Gere. Non fare. Non creare confusione: come fosse possibile aspettare un recupero di sanità mentale e una politica dal volto umano da parte della Cina; e come se la situazione in atto non fosse già precipitata da decenni, e non ve ne fossero prove, fimati e film. Come se nel sudest asiatico non esistesse un'emergenza della persecuzione buddista e non fossero appena stati massacrati monaci buddisti. No, l'Europa e la sinistra e i loro ministri sono solo capaci di alzare la voce con Israele, reo di rispondere ai lanci di missili di Hamas o di Hezbollah con reazioni esagerate, mentre non vi è mai niente di esagerato nel vecchio fronte anti-imperialista. In ciò che sta al di fuori dell'area di influenza atlantica. Da Zapatero alla Cina. E come se alla fine bastasse non essere americani per perpetrare impunemente come normalità le più odiose azioni. E a quanto pare basta non essere americi, e a proposito popolazione israeliane o tibetana per subire tutto in santa pace. Scusate, ma vorremmo tanto chiedere a Walter Veltroni un'impennata. Un gesto di autentico coraggio politico, che gli scrollerebbe di dosso, se ne ha l'intenzione, il ciarpame veterostalinista che incrosta e deforma qualsiasi possibilità di rinnovamento egli invoca ogni giorno. Indire una grande e pacifica manifestazione che denunci il regime di Pechino, violento e liberticida; che proponga la parola d'ordine del Tibet libero, senza se e senza ma. Altrimenti, in nome di che cosa si può proporre un sogno e un'idealità alla gente, proprio nel momento di ipotetico passaggio della guardia dalla vecchia sinistra che conosciamo, a un nuovo modo di progettare la politica, e proprio nel frangente strategico delle elezioni? Chiediamo a Walter Veltroni cosa vi sia di salvabile e di rispettabile, in una potenza politica ed economica, più economica che politica, più dirigista, capitalista selvaggia e totalitaria che comunista, che fabbrica prodotti inquinanti, che produce smog, e verso la quale in questa Europa, e anche in questo mondo, non si erge un solo movimento di massa di quelli che la sinistra era capace di suscitare. Nel '68 sarebbe successo. Se le bandiere non vengono prese in mano con decisione nei momenti opportuni, non c'è da stupirsi che si vada incontro a un mondo relativista, minimalista, cinico, ed egoista. E a quel punto ogni iniziativa culturale, ogni tensione evocata a parole, diventa un'inutile litania. A questa sfida, intenderemmo chiamare Veltroni, nel mezzo della sua campagna elettorale, mentre emergono le lacerazioni della politica estera di D'Alema. Quando ancora abbiamo negli orecchi lo sdegno di Fassino per le dichiarazioni “filofasciste” di Ciarrapico, e lo sgomento per la pragmatica risposta di Berlusconi – i suoi giornali ci servono. Cosa c'è di nobile e di morale nell'inazione e nella dichiarazione di D'Alema: a disertare le Olimpiadi si rischierebbe solo confusione. Noi lo immaginiamo che dice queste parole con la cipria in volto, un visibile neo finto sulla guancia, una grande parrucca, nella sala degli specchietti d'una piccola Versailles sempre più vanesia e reazionaria. Molto meglio sarebbe invertire la tendenza con una grande mobilitazione bipartisan e boicottare le Olimpiadi. Come avremmo fatto nel '68.
Il Foglio sportivo - in corpore sano