Salvate Piccinini

Alessandro Schwed

C'è questa novità. Mentre noi guardiamo Controcampo, Sandro Piccinini opera con i gesti e diventa Santoro. Ma in modo curioso, non ce ne accorgiamo: forse le forme televisive si equivalgono. L'invisibile fatto ha luogo al centro dell'arena, quando Piccinini pone le domande agli ospiti. Mentre ascolta le risposte, la sua buccia psichica trasmigra nell'involucro tele-gestuale dell'anchorman di Annozero. E' un trance sottile, senza convulsioni e bava. Probabilmente, si tratta di una sconosciuta forma di sonnambulismo televisivo. Un Jekyll-Hide in serie A: ‘Il dottor Piccinini e Mr Santoro'. Il conduttore domanda all'allenatore della tal squadra se nel filmato Ibra mandi a quel paese Mancini in italiano o svedese. Piccinini ascolta la risposta e già si trasforma. Ha i fogli in una mano, socchiude gli occhi, scruta intenso l'interlocutore. Poi, con una mano si tocca lieve il mento. E' fatta, è Santoro. Stilema meditativo dell'eretico di Rai 2. Analitico. Sornione come il gatto con il topo. Sorride e già sa tutto dell'altro. Piccinini, replica moderata di un radical.

    C'è questa novità. Mentre noi guardiamo Controcampo, Sandro Piccinini opera con i gesti e diventa Santoro. Ma in modo curioso, non ce ne accorgiamo: forse le forme televisive si equivalgono. L'invisibile fatto ha luogo al centro dell'arena, quando Piccinini pone le domande agli ospiti. Mentre ascolta le risposte, la sua buccia psichica trasmigra nell'involucro tele-gestuale dell'anchorman di Annozero. E' un trance sottile, senza convulsioni e bava. Probabilmente, si tratta di una sconosciuta forma di sonnambulismo televisivo. Un Jekyll-Hide in serie A: ‘Il dottor Piccinini e Mr Santoro'. Il conduttore domanda all'allenatore della tal squadra se nel filmato Ibra mandi a quel paese Mancini in italiano o svedese. Piccinini ascolta la risposta e già si trasforma. Ha i fogli in una mano, socchiude gli occhi, scruta intenso l'interlocutore. Poi, con una mano si tocca lieve il mento. E' fatta, è Santoro. Stilema meditativo dell'eretico di Rai 2. Analitico. Sornione come il gatto con il topo. Sorride e già sa tutto dell'altro. Piccinini, replica moderata di un radical. Intanto ci troviamo ad essere ignari che Piccinini faccia Santoro: siamo distratti da un cucchiaio di Mutu e dagli arabeschi luminescenti degli occhiali di Mughini. E di fronte a tutti eppure non visto, va in onda il fatto fantasmatico: la mano di Piccinini si carezza il mento, e lo spettro dell'analisi marxiana viene promosso in serie A assieme alla tv marziana. Trance o identità perduta? Prima di essere posseduto da un fagiolo invasore, Piccinini masticava calcio dalla nascita. Suo padre ha giocato nelle grandi squadre, e lui nelle giovanili della Lazio. Si è dato alle telecronache delle emittenti libere, quindi a Mediaset; ha studiato la nuova Tv in Italia e ne ha scritto un libro con Matteo Dotto. L'ipotesi è che mentre parli di Ibrahimovic con le movenze nascoste di Santoro, sia gravato dal complesso del calcio televisivo. Il complesso di gravità. Essere compassati, parlando di pinzillacchere. Il contrario di Mosca, che parla di pallone con la lingua dei ragazzi quando si scambiano le figurine e dicono celo-manca. Infatti, il mondo del calcio sfruculia Mosca. Lo domina con il 4-4-2 e il 4-2-3-1. Dicono esterni bassi, squadra corta, ripartenze. Fanno gli adulti. Mosca no, si entusiasma. Spara qualsiasi cosa gli venga in testa e li guarda sbalordito perché non credono che Owen andrà alla Juve. Piccinini non ha saltato il fossato della ragione, fa la sua parte di adulto al centro dello studio, e a un tratto indossa lo scafandro di Santoro. Ce lo stanno portando via dal mondo dei ragazzoni. Complesso di gravità Non sappiamo se sarebbe bene parlare di calcio con i pantaloni corti e avere il viso ancora sporco di marmellata; ma si potrebbe parlarne stando ai fatti, e con leggerezza. Piccinini dovrebbe provarci: ormai è l'anchorman-ragazzone del calcio. Permane. Non è uno nessuno e centomila, come i conduttori della DS, cambiati a ogni edizione. Non sparisce per anni come Mazzocchi, deportato in qualche Mongolia della palla a mano. No, Piccinini è lì, a ogni campionato. Solo che è preoccupato di essere adulto, serio. A volte cupo. Di mantenere alta la tensione. Lancia un appello al pubblico a casa, con la struggente promessa di un caso gravissimo dopo la pubblicità dei computer dell'arbitro Cesari e la Canalis. Al rientro in studio, il caso gravissimo è differito, e ha un risolino nervoso. Prova pena a fare certe cose, non è un anchorman che faccia promesse da marinaio. E' che la sua fanciullezza viene settimanalmente vessata dalla Tv e le sue pressioni. E poi soffre del complesso di gravità. Il timore di non avere immesso tensione, e possibilmente gravità, a “Controcampo”. Gli arbitri in errore. Mancini che se ne va, non se ne va. Ma se poi invece se ne va? Via col servizio. L'anchorman cammina su una lama: potrebbe emergere che la partita è finita. Che la calcio-tv è l'appendice di novanta minuti in cui diamo pedate al tavolino del salotto, e qualcuno fa il centravanti al posto nostro. Giorni fa, all'ora di pranzo, ero per via. In strada c'era solo un ragazzino di sette, otto anni. Correva, sospingendo a piccoli calci una palla bluastra, e faceva la telecronaca: “…Ecco Toni, scarta Nesta, si libera di Cannavaro…Toni, Toni…rete! Fantasticooo!!”. La palla era sospinta avanti e indietro, in modo sciatto. Non c'era abilità, non c'era niente di vero. Gli occhi del ragazzo brillavano. To play, dicono felicemente gli inglesi. Tra giocare e recitare, perfino suonare, se fossimo spensierati.