Gregario e scalatore, in morte di Valentino Fois
Il rapporto molto intimo tra il ciclismo e la fine
Tra il ciclismo e la morte c'è un rapporto così intimo che induce per forza al pudore, anche per non sembrare menagrami verso uno sport che molti amano a più riprese dare ovviamente per defunto. Eppure quelli che hanno voluto la bici continuano a pedalare in faccia ai moralisti scansafatiche che non abbreviano i chilometri e i numeri e i colli delle tappe, ma poi inorridiscono con il ditino alzato per i trucchi del mestiere. E' che il ciclismo è lo sport della solitudine anche, se non soprattutto, quando si è in gruppo – e si chiama pure plotone, come quello d'esecuzione – ovvero la metafora perfetta del rapporto tra noi e la signoria sua.
Tra il ciclismo e la morte c'è un rapporto così intimo che induce per forza al pudore, anche per non sembrare menagrami verso uno sport che molti amano a più riprese dare ovviamente per defunto. Eppure quelli che hanno voluto la bici continuano a pedalare in faccia ai moralisti scansafatiche che non abbreviano i chilometri e i numeri e i colli delle tappe, ma poi inorridiscono con il ditino alzato per i trucchi del mestiere. E' che il ciclismo è lo sport della solitudine anche, se non soprattutto, quando si è in gruppo – e si chiama pure plotone, come quello d'esecuzione – ovvero la metafora perfetta del rapporto tra noi e la signoria sua.
Il rapporto è così intimo che Marco Pantani spiegava che andava forte in salita per abbreviare l'agonia. E' così intimo perché un tubolare è spesso poco più di una matita e su quel filo corri, giri, mangi, fai pipì, sterzi, cadi. Il viaggio al termine della corsa, a volte, il Pirata lo aggrediva al punto da appoggiare, in discesa, la pancia sul sellino e la ruota davanti si alzava un po', frazioni di centimetro, la distanza esatta tra la sfida sportiva e la temerarietà umana. Il rapporto è intimo come la squadra di Fabio Casartelli che taglia il traguardo in lacrime, in perfetta schiera. Come il compagno dello stesso Casartelli – e che compagno!, era Lance Armstrong – che alza il braccio verso la cima più alta mai scalata in vita umana per ricordare il collega caduto sul lavoro. Il rapporto è così intimo che tutti lo vedono, sanno come andrà a finire, l'ultimo colpo di reni prima dello striscione con scritto: “Arrivo”. Così intimo che pedali con lei, cadi, ti rialzi, muori di freddo o di caldo e di veleni, come il baronetto Tommy Simpson. Perché il ciclismo è sport estremo, la strada uno dei luoghi più pericolosi, la fatica la peggiore compagnia possibile, dunque i corridori sono soli e male accompagnati. Poi passi la vita a farti ciucciare le ruote, tu gregario, e magari non costruisci – non siamo mica il calcio noi – una sicurezza economica, un futuro tranquillo, e allora, quando il plotone ti considera vecchio, che fai per vivere? Non sai. Stai solo. Di nuovo?
Se sei un corridore in bici, comunque, la sfida l'accetti, la sfida di un rapporto così intimo. Se a Gino Bartali danno perfino il merito di aver calmato l'Italia quando la morte stava per essere data a Palmiro Togliatti, vuol dire che alla fatica dei corridori si riserva un valore superiore allo sport, un valore estremo, perché si è soli in bici come nel momento dell'ultimo pensiero. Armstrong, per esempio, quella solitudine sempre a un passo dalla fine l'ha affrontata da spaccone cow-boy, che ai francesi le palle ancor gli girano. Divorava interminabili salite in desolate valli texane, ricordandosi che prima e dopo quella tosta operazione contro “il bastardo” male gli avevano chiesto di ripetere: “Palla, spillo, passo carraio”. Greg Lemond in sella è risalito dopo che, per un incidente di caccia, suo cognato lo ferì di fucile. Torna la parola miracolo, come la dama nera vicina. Fausto Coppi, invece, abbandonò la sua dama bianca, la vita, per una fine che resta impressa quasi come la frase “Un uomo solo al comando”, perché contratta in un paese lontano e dopo aver corso e dopo essere stato ingaggiato dalla squadra del suo più acerrimo amico, Gino Bartali. C'erano migliaia di persone al saluto. L'altro amico di Coppi, Luigi Malabrocca, correva per avere la maglia nera: creava invenzioni incredibili, si fermava al caffè, pur di arrivare ultimo, pur di sfuggire alla fine. Ha poi vissuto per 86 anni. Valentino Fois ne ha vissuti 35 di anni, da scalatore, da amico di Pantani. Stava per tornare a correre, è morto ieri.
Il Foglio sportivo - in corpore sano