Anticipazione dal Foglio di martedì 1 aprile
Prolifer vietnamita
Gli è bastato un attimo, giusto il tempo di guardare negli occhi quelle donne per capire: abortiti. “Unimaginable, non è possibile!”. Da allora quelle immagini di madri mancate sono impresse nella sua testa e non si dà pace. Lui, così piccolo, con i capelli scurissimi e i denti ingialliti dalle troppe sigarette, ogni giorno combatte la propria battaglia contro l'aborto quotidiano, a Nha Trang, un città della costa.
Per Tong Phuoc Phuc l'aborto come soluzione ai problemi delle madri è inimmaginabile. Vietnamita, 41 anni, cattolico, da diverso tempo ha scelto di aprire la porta di casa sua, 84 metri quadri dove vive con la moglie e i suoi figli, alle mamme incinte che da sole non ce la farebbero. Gli capita anche di ospitarne a decine, prima da sole e dopo il parto con i loro neonati, i numeri non lo hanno mai spaventato. Phuc ha compreso che questa era la sua missione sette anni fa quando la moglie, incinta, ha incontrato serie complicazioni di salute che hanno messo a repentaglio la sua vita e quella del nascituro. “Dio, se ce la fanno loro – si è detto – aiuterò tutti gli altri”. La sposa e il figlio ce l'hanno fatta e lui è stato di parola. Dopo la nascita e con la moglie ristabilita ha chiamato le donne incinte che erano ricoverate nello stesso ospedale con lei, le voleva accudire ma non ha visto i bambini tra le loro braccia. Meravigliato si è chiesto: “Dove sono? Where are the babies?”. Gli è bastato un attimo, giusto il tempo di guardare negli occhi quelle donne per capire: abortiti. “Unimaginable, non è possibile!”. Da allora quelle immagini di madri mancate sono impresse nella sua testa e non si dà pace. Lui, così piccolo, con i capelli scurissimi e i denti ingialliti dalle troppe sigarette, ogni giorno combatte la propria battaglia contro l'aborto quotidiano, a Nha Trang, un città della costa. Lo fa in un paese, il Vietnam comunista, dove l'aborto si pratica senza complicazioni in tutti gli ospedali pubblici e che, soltanto nel 2006, ha visto consumarsi 114 mila interruzioni di gravidanza volontarie. Nel 1999, secondo le statistiche sull'aborto nel mondo raccolte dal Guttmacher Institute (un istituto americano), il Vietnam era lo stato con il più alto numero di aborti nel pianeta e da allora, anche grazie al lavoro pratico e culturale di uomini come Phuc, questo triste primato si è in parte ridimensionato. L'andazzo culturale, quello no, è duro a cadere: si raschiano via i bambini dalla pancia delle madri perché queste donne non sono sposate, perché se nascessero sarebbero femminucce e da queste parti (come in molte altre nazioni dell'Asia) si preferiscono i maschi, per disperazione e miseria. Ma Phuc non si scoraggia anche se i vicini di casa lo considerano un pazzo: la sua associazione, per scelta, non è registrata come orfanotrofio perché lui non vuole darli in adozione a famiglie non naturali quei bambini, ma sogna di riunirli con le mamme che li hanno partoriti. “Continuerò questo lavoro finché avrò vita”, dice a tutti mentre si accende una sigaretta e a chi gli dice che fumare fa male, ribatte che l'aborto fa peggio. Molto peggio.
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