Analisi di una vittoria
Diavolo di un Silvio
Diavolo di un Silvio Berlusconi, l'aria della vittoria era chiara, i disastri combinati dal governo Prodi erano irreparabili, ma il coraggio del leader del centrodestra di approfittare di questo clima per fare alcune operazioni a rischio, è tutto suo.
Diavolo di un Silvio Berlusconi, l'aria della vittoria era chiara, i disastri combinati dal governo Prodi erano irreparabili, ma il coraggio del leader del centrodestra di approfittare di questo clima per fare alcune operazioni a rischio, è tutto suo. Così la scelta di imbarcare Gianfranco Fini in un viaggio dalle lunghe prospettive, anche a costo di sacrificare i magnifici Francesco Storace e Daniela Santanchè. Così la mossa di mettere con le spalle al muro Pier Ferdinando Casini (unica critica: non avere lavorato bene sugli ambienti cattolici che affiancavano l'Udc) che ora si trova in un partito più piccolo, non più di sua “proprietà”, pieno di galli rissosi: da Ciriaco De Mita a Savino Pezzotta a Bruno Tabacci a Mario Baccini, per non parlare di Totò Cuffaro. Così il taglio dato alla campagna elettorale, senza promesse fantasmagoriche, con un tono preoccupato, che è costato magari qualche voto ma offre ora un mandato di governo su basi chiare. Ognuna delle scelte era a rischio, creava un qualche smottamento negli insediamenti del centrodestra, ma apriva prospettive di stabilità che adesso pagheranno nella fase di governo: Berlusconi le ha portate a casa senza concedere vantaggi al competitore. Forse l'unica mossa silviesca che si paga è la battuta su Francesco Totti: anche se poi lo stesso Luciano Spalletti, commentando i comportamenti del capitano giallorosso con l'arbitro in Roma-Udinese, ha ammesso come Totti sia un po' fuori di testa. Per Berlusconi nelle sfide elettorali vale la battuta che Sergio Leone mette in bocca a Gian Maria Volontè nei confronti di Clint Eastwood in “Un pugno di dollari”: quando un uomo con la pistola incontra un uomo con il fucile, quello con la pistola è morto. Così è andata a Walter Veltroni, uomo con la pistola, che ha perso con nettezza, al di là di proclami ed exit poll abborracciati. Tutto bene? C'è il voto della Lega nord: era evidente la presenza di un'area arrabbiata nella società italiana che avrebbe finito per gonfiare le forze con le posizioni più aspre. Il voto della Lega, forza radicata, dagli abili amministratori, non stupisce. In questo senso è più significativo il voto ai dipietristi. Ed è comunque più agevole rapportarsi con il cervello politico dell'un po' ammaccato Umberto Bossi che con quel brutto tipo di Antonio Di Pietro. Sul voto della Lega, poi, un partito così romanocentrico come il Pd dovrebbe riflettere bene: capita sempre più spesso di imbattersi in uomini di sinistra del nord che si chiedono perché la Lombardia non possa fare quello che ha fatto la Slovacchia o quello che si apprestano a fare i valloni in Belgio. Alcune tendenze segnalate dal voto leghista non riguardano soltanto Berlusconi (che cerca di dar loro uno sbocco) ma tutta la politica italiana. Ci saranno occasioni per esaminare il voto del 13 e 14 aprile, con l'emblematica scomparsa parlamentare (probabile nel momento in cui si scrive) della sinistra antagonistica: in sé non una cattiva notizia ma che pone alcuni problemi politici.
E Casini in Europa?
Ma per esaminare il voto servono più dati. Meglio dedicare qualche riga ai compiti del centrodestra per impostare la sua nuova avventura di governo. Per prima cosa vanno stabiliti rapporti solidi con la Lega: ci sono questioni di potere e di programma aperte (dai ministeri, alle scelte sull'amministrazione locale, alle presidenze delle regioni), vanno affrontate subito con spirito aperto, senza ricatti ed evitando che in qualsiasi modo si blocchi il dialogo con l'opposizione. Di questo c'è bisogno anche per affrontare le richieste programmatiche leghiste a partire da quella fondamentale di articolati provvedimenti federalisti. Bisognerà affrontare questo impegno con una clausola principale: niente furbate, niente scavalcamenti. Naturalmente niente veti. Comunque i rapporti con la Lega saranno più semplici: non c'è più Casini tra i piedi e Fini gioca in squadra con Berlusconi. Le insopprimibili invidie che circondavano i dialoghi Silvio-Umberto ci saranno risparmiate. Per quello che riguarda il programma di governo, il “nuovo” Giulio Tremonti deve restare l'uomo del rigore ma deve essere anche l'uomo dell'unità della coalizione. Tremonti senza dubbio è un nocchiero di qualità: deve esercitare però più egemonia e meno comando. I problemi dei comportamenti degli uomini del Pdl non nascono solo da questioni caratteriali ma anche dalla mancanza di un vero partito che bisognerà cominciare a costruire dal 15 aprile. Infine, ma non come importanza, bisogna scatenare subito l'offensiva del dialogo con l'opposizione. Va costituita una commissione esterna al Parlamento, tipo quella Balladour, per affrontare le riforme istituzionali (e forse anche quella elettorale) composta da “teste di grande valore”. Bisognerebbe avere un'idea su chi la possa governare: un uomo adatto potrebbe essere Lorenzo Ornaghi, rettore della Cattolica di Milano, indipendente dai partiti, grande consulente di quella testa fina di Camillo Ruini, studioso di vaglia di cose politiche. Altre mosse di dialogo andranno rivolte a politici e intellettuali legati al Pd. Con attenzione andrà avviata una riflessione sui destini dell'Udc: in quel partito c'è un cuore di scontenti o comunque di persone rivolte a sinistra, ma abbondano politici che si sentono legati al centrodestra. Verso costoro andrebbe presa un'iniziativa. Per esempio, c'è il problema di sostituire Franco Frattini a Bruxelles, possibilmente con una persona (anche per gli equilibri della Commissione) legata al Ppe, perché non pensare allo stesso Casini, dandogli uno sbocco di grande valore e consentendogli di chiudere in bellezza un'avventura?
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