I primi giorni del terzo Cav.
Vita agra al Castello - Versione integrale
Tremonti e Letta. Letta e Tremonti. Sono giorni di afflizione, ha detto Berlusconi. Forse ci saranno sorprese, ha anche detto. Decido io, ha ripetuto più volte parlando con il mondo della finanza e delle imprese. Che cosa significano queste tre frasi? Penso di saperlo, più o meno. L'afflizione non deriva dai dettagli: Berlusconi è capace di affliggersi, quando si fanno le liste per Camera e Senato, anche per un qualche diniego periferico che è costretto a opporre a desideri intensi di rielezione.
Tremonti e Letta. Letta e Tremonti. Sono giorni di afflizione, ha detto Berlusconi. Forse ci saranno sorprese, ha anche detto. Decido io, ha ripetuto più volte parlando con il mondo della finanza e delle imprese. Che cosa significano queste tre frasi? Penso di saperlo, più o meno. L'afflizione non deriva dai dettagli: Berlusconi è capace di affliggersi, quando si fanno le liste per Camera e Senato, anche per un qualche diniego periferico che è costretto a opporre a desideri intensi di rielezione. L'abbraccio universale è il suo godimento preferito. Ma le questioni minori, le promozioni a sottosegretario o a ministro di forze nuove, non ancora sperimentate, o qualche rimozione di notabili in bilico, no, non è questo che lo intristisce o lo inquieta. La questione di chi decide invece lo angustia, gli toglie un po' di serenità, come dimostra la sua rivendicazione pubblica, che è anche un avvertire se stesso: decido io. Costretto dunque a riflettere sulla sostanza della politica, il Cav. comincia a parlare di sorpresa, la sua specialità. Letta e Tremonti. Tremonti e Letta. Questo è il problema. Se qualche sorpresa ci sarà, nella formazione del governo, dipenderà dal grumo di tensioni che attraversano queste due personalità importanti del mondo berlusconiano e di altri mondi.
La vicenda di Roberto Formigoni, invitato a restare dov'è con promesse per il futuro che non lo convincono, è stata una sorpresa relativa. Prolungare fino all'autunno la campagna elettorale, tenendo aperta la questione del governo della Lombardia e mettendo in mora lo stato di grazia e i primi cento giorni dell'esecutivo del lieto fine, non se ne parla. Rischiare un nuovo boom leghista, al seguito di Castelli candidato, non se ne parla. Inserire nel Castello, perché il Palazzo è ormai un'anticaglia repubblicana, un altro feudatario che ha i suoi possessi e le sue idee e le sue ambizioni e le sue reti di alleanza postdemocristiane, come ieri un Casini, non se ne parla. Ma non si escludono, per il core business della formazione del governo, sorprese tutt'altro che relative: sorprese assolute.
In un momento di vitale e combattiva afflizione, Berlusconi ha chiesto ai suoi di vedere se, per assurdo, non esista un'alternativa a Tremonti titolare dell'Economia. Poi ha anche fatto sapere che gli piacerebbe tanto riparlarsi in modo concreto con Montezemolo, con cui poi si è parlato fitto fitto fitto proprio ieri. Tremonti è infatti uno tosto. Uno che non molto tempo fa si fece addirittura cacciare dal governo, minacciò di farsi un suo partito con i soldi di Della Valle. E' un geniaccio dal cattivissimo carattere, che sembra fatto apposta per far litigare un ministero con la assoluta maggioranza degli interlocutori, e più insidiosi e potenti sono più si litiga. E' tipico dei cavalli di razza, questo. Delle persone che hanno un pensiero e una sana ambizione. Che vogliono essere rispettate e che rischiano. Insomma: va ad onore di Tremonti il cattivo carattere, che è poi un carattere.
A volte Tremonti esagera. Non sa controllare la sua forza, che è ingente, a tratti minacciosa. L'uomo ha un saldo e antico rapporto di complicità con la Lega e con Bossi personalmente. Ne fa un uso smodato, che porta letteralmente a impazzire di rabbia lo stato maggiore di Forza Italia, programmaticamente scavalcato dal suo vicepresidente in carica. In asse con Brancher, influente deputato e tessitore politico ombra del sistema Berlusconi, Tremonti oggi è anche l'uomo che ha chiuso l'accordo strategico nord-sud, l'accordo delle due leghe, Bossi e Lombardo. Aiutato dalla buona stampa che sempre da noi soccorre il vincitore, è proclamato vincitore delle elezioni, con il capo leghista, in virtù del suo libretto rosso elettorale in cui ha messo una quantità di valori cristiani e identitari più una visione cupa, apocalittica, della crisi finanziaria e delle sue conseguenze future, imputate ai rigori del mercatismo da temperare con una logica di rilancio protezionista del primato della politica e della manovra pubblica. Tremonti rischia di sembrare indispensabile, e non è gratificante per un Cavaliere invincibile avere accanto un uomo indispensabile. Utile sì, geniaccio pure, magari decisivo: ma l'indispensabilità sa di ingabbiamento per chi è obbligato a usufruirne.
Siccome Tremonti è veramente tosto, un potenziale stupratore politico (sia detto con una certa ammirazione), nei colloqui domenicali recenti di Arcore non è stato schiscio, come si dice in Lombardia, ma tambureggiante. Vuole procedere con gradualità nelle elargizioni postelettorali promesse dal capo, ciò che affligge un Berlusconi affetto dalla sindrome di Prodi, la malattia del perdere subito la faccia e senza remissione del peccato originale. Berlusconi è dunque intenzionato a levare i rifiuti da Napoli, come promesso, a salvare Alitalia dalla svendita, come promesso, a riempire le tasche degli italiani di soldi detassati, come promesso, dall'Ici ai salari e alle pensioni. Tutte cose costose, che secondo Tremonti andrebbero spalmate su più anni. Ahi, ahi!
Tremonti alla fine andrà all'Economia, secondo tutti gli osservatori più accreditati. I ballons d'essai del Cav. non sono mai muri insormontabili, rotture, sono sempre quelle che i siciliani chiamano toccatine di polso, assaggi e sonde per capire meglio e farsi capire ancora meglio. Ma l'uomo, con il suo charme intrattabile e le sue qualità indubitabili, è già un polo di tensione su più fronti. Il secondo dei quali, per non parlare che dei principali, ha il nome di Gianni Letta. Uno che le grane non le pianta mai, anche se dice quel che pensa. Piuttosto cerca di risolverle, anche quando non dipendano dal suo comportamento. Un caso di lealtà oltre la lealtà, cioè di dedizione al capo. Dedizione intelligente, ma dedizione. Eppure anche lui è parte, per ragioni oggettive che si ripercuotono sul suo ruolo e sul suo senso del proprio ruolo, di questo sentimento di afflizione che slitta nella gioia del lieto fine e nella complicata costruzione del lieto fine. La gioia resta, come dimostra la folgorante battuta anti Prodi sul fatto che in Europa è meglio occuparsi di trasporti che di diritti dei gay, battuta in cui il Cav. si è specchiato con ammirazione, nel sicuro consenso di un paese ormai versato in pragmatismo e stufo di chiacchiere. Resta, la gioia, ma affiancata dall'afflizione. Che potrebbe generare soprese.
Uno schema che Gianni non ama
Lo schema di questo ministero dato per imminente a Letta non piace. Forse se lo farà piacere, e ci si chiuderà dentro con la tenacia di un mulo abbruzzese. Ma per adesso è molto scontento. A lui stesso sarebbe riservato il ruolo di vero vicario del capo a Palazzo Chigi. Il capo viaggia con Frattini agli Esteri, e furoreggia more solito nelle sue diverse incarnazioni. Letta coordina e dirige con l'aiuto del serio funzionario e sottosegretario Antonio Catricalà, nel suo vecchio ruolo di sottosegretario e segretario del Consiglio dei ministri. Ma Letta è già ferito. Dal veto leghista nei suoi confronti per il ministero dell'Interno. Dalla chiara intenzione leghista, dichiarata per di più da Calderoli, che vorrebbe affiancarlo alla vicepresidenza, di fare politica a tutto campo: siamo i nuovi centristi, dicono alla Lega dopo essersi sentiti con l'a-lettiano Tremonti, non siamo di destra né di sinistra, siamo il nord, e dunque discutiamo noi in prima persona con Veltroni e l'opposizione, altro che Letta. Ferito dal fatto che il governo lo stanno facendo anche un po' i partiti o sottopartiti, dalla Lega a Forza Italia ad An, che piazzano i loro pupilli e le loro pupille, tutta gente cresciuta parallelamente all'impero segreto, alla grande ragnatela di poteri reali di cui Letta (con Berlusconi) aveva assunto la regia incontrastata e tessitrice sempre, fino ad oggi almeno.
In un Consiglio dei ministri con Tremonti all'Economia e Maroni agli Interni, per Letta ci sarebbe poco da fare. E l'uomo ama fare, coordinare i dossier che contano, misurare i rapporti di forza politici e preparare le decisioni del capo in armonia con la propria visione del sistema istituzionale. Anche il capo ama che l'uomo questo faccia. Il grande problema di Letta è che non c'è più l'Udc a fargli da sponda. In un governo Tremonti-Maroni questa assenza sarebbe lancinante. Il nodo gordiano del che fare, del che cosa decidere sarebbe tagliato una volta per tutte all'origine. Ora, è chiaro che non nascerà un governo con Tremonti agli Esteri, Letta all'Interno e un Montezemolo all'Economia nella sua versione ottimista, liberale e anche un po' spendacciona, come piacerebbe al Cav., perché le sorprese che tolgono l'afflizione, e fanno capire chi decide, non sempre sono possibili.
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