Fioroni e Franceschini dicono a Veltroni che ai cattolici
WalterPop inquieti
Capita che dopo un lungo periodo di freddezza elettorale, Massimo D'Alema sia tornato a corteggiare Franco Marini; capita che Walter Veltroni e Dario Franceschini se ne siano accorti con una certa preoccupazione; e capita che martedì scorso il segretario del Partito democratico abbia spiegato a Giuseppe Fioroni quale sia il modo migliore per evitare che il nuovo asse tra il ministro degli Esteri uscente e il presidente del Senato uscente vada a indebolire l'attuale leadership della nuova stagione.
Roma. Capita che dopo un lungo periodo di freddezza elettorale, Massimo D'Alema sia tornato a corteggiare Franco Marini; capita che Walter Veltroni e Dario Franceschini se ne siano accorti con una certa preoccupazione; e capita che martedì scorso il segretario del Partito democratico abbia spiegato a Giuseppe Fioroni quale sia il modo migliore per evitare che il nuovo asse tra il ministro degli Esteri uscente e il presidente del Senato uscente vada a indebolire l'attuale leadership della nuova stagione.
Marini, Fioroni e Franceschini sono ormai da mesi i principali azionisti di maggioranza del loft e il segretario del Pd sa perfettamente che la solidità della sua leadership dipenderà anche dall'appoggio che l'affluente cattolico del Pd riuscirà a garantire nei prossimi mesi. Non è un caso, difatti, che l'investitura di Veltroni, a giugno, sia arrivata proprio grazie alle convergenze parallele dei tre popolari; non è un mistero che negli ultimi mesi siano stati soprattutto Marini, Fioroni e Franceschini a scortare Veltroni in tutte le centodieci province visitate in campagna elettorale; e non c'è dubbio che saranno ancora loro i primi a soccorrere il segretario se la pellaccia del Partito democratico uscirà mortificata anche dai ballottaggi romani. Ora però arriva il periodo delle nomine anche per il Pd: per la prima volta dalle elezioni in un modo o in un altro gli equilibri su cui si poggia il loft verranno allo scoperto e, se i cattolici scenderanno in campo meno compatti che un tempo, W. potrebbe cominciare a preoccuparsi. “Tutto – racconta un senatore del Pd che non vuole essere citato – dipende proprio dal nuovo asse tra Marini e D'Alema”.
Da qui a maggio, il Pd dovrà scegliere i nomi dei due capigruppo alla Camera e al Senato, dei dodici ministri dello shadow cabinet e dei nuovi membri dell'ufficio politico. Il momento chiave per comprendere il gioco delle correnti del loft sarà quando l'assemblea costituente del Pd nominerà il presidente del partito. Romano Prodi si è dimesso una settimana fa e, pochi giorni dopo la lettera resa nota dal presidente del Consiglio, D'Alema ha lanciato alla presidenza Marini con le stesse parole che lo scorso giugno aveva usato Franceschini per proporre, con successo, Veltroni alla segreteria del Pd. “Se Marini si candida io lo voto”, ha detto D'Alema. Marini non ama mai scoprire le carte prima del dovuto e ieri ha detto di essere ormai troppo vecchio per certe cose. Al loft però a queste parole ci credono poco e sanno che il ruolo di Marini sarà decisivo. Beppe Fioroni e Walter Veltroni tre giorni fa hanno parlato di questo. Per evitare di mettere il Pd sotto una possibile tutela marinian-dalemiana, mai come in questi giorni Franceschini e Fioroni sono stati così vicini al segretario del Pd e così lontani da quell'asse che Marini e D'Alema avevano già cominciato a costruire dieci anni fa. All'epoca c'era in ballo il passaggio alla fase due del governo Prodi. Oggi, invece, ci si gioca la fase due della nuova stagione. Ma non c'è solo questo, naturalmente: nella vocazione maggioritaria del Pd, fatta minoritaria dalle elezioni, sono molti gli uomini che cercheranno di evitare il fallimento dello sfondamento al centro del partito. Come ripete da mesi il ministro Fioroni, “ai cattolici non basta una stanza nel Partito democratico”. E' anche per questo che nel mettere a punto gli ingranaggi che presto faranno partire il dialogo tra il Cav. e W, Fioroni e Franceschini sanno che il sistema elettorale su cui il Pd dovrà puntare sarà quello francese. Non quello tedesco (che comprenderebbe il rafforzamento dell'Udc), a cui da tempo sono invece affezionati D'Alema e Marini. Dunque, di cosa hanno parlato Veltroni e Fioroni? Di questo. Il segretario e il ministro uscente non vogliono Marini come prossimo presidente del Pd: troppi popolari nei ruoli chiave del partito comporterebbero eccessive contropartite da offrire agli ex Ds; un uomo di peso come Marini alla presidenza del Pd toglierebbe inoltre capacità d'azione al vice Franceschini; e con il tempo il rischio di creare nel Pd un commissariamento del segretario – simile a quello già visto nella Margherita negli ultimi anni con Rutelli – sarebbe reale. Per questo, martedì il segretario del Pd ha spiegato a Fioroni il suo piano: un profilo soft per la presidenza del Pd e un incarico che tra cinque anni potrebbe avere come prosieguo naturale una possibile candidatura per la presidenza della Repubblica (carica a cui anche Marini aspirerebbe nel futuro). Veltroni ha così fatto il nome di Prodi. Franceschini e Fioroni hanno detto di sì e l'ex premier, che tra l'altro giovedì ha detto che non si presenterà come candidato sindaco di Bologna, sta pensando di fare marcia indietro.
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