Come e perché al nord il voto bianco si e' fatto verde - Seconda puntata
Rosy Bindi si sorprende, ma il catto-leghismo non è un'improvvisata
Racconta Mino Martinazzoli che nelle valli bresciane, al tempo dei primi inopinati successi della Lega, sovrapporre le cartine topografiche per scoprire dove fosse avvenuto seggio per seggio il travaso dei voti, che da bianchi diventavano verdi, era facile come disegnare con i trasferelli. Tanti voti democristiani in meno, tanti voti leghisti in più.
“Una parte del voto cattolico è finito alla Lega e non si capisce perché” (Rosy Bindi, sulla Stampa del 15 aprile)
Racconta Mino Martinazzoli che nelle valli bresciane, al tempo dei primi inopinati successi della Lega, sovrapporre le cartine topografiche per scoprire dove fosse avvenuto seggio per seggio il travaso dei voti, che da bianchi diventavano verdi, era facile come disegnare con i trasferelli. Tanti voti democristiani in meno, tanti voti leghisti in più. Il “mistero dei cattoleghisti” non è mai stato tale per i politici della vecchia Dc. Viceversa, il vero mistero è come mai ci abbiano messo tanto ad arrivarci la gerarchia (i parroci no) e gli intellettuali cattolici. Dunque, ora che la transizione appare definitivamente assestata, la vera sorpresa del 13 e 14 aprile non è tanto il voto per il Carroccio, quanto il fatto che nel mondo cattolico si è cominciato a prenderne atto. Lo storico Agostino Giovagnoli, autore di saggi sulla storia della Dc ma anche intellettuale ascrivibile nell'area del cattolicesimo progressita, ha scritto su Europa un articolo intitolato proprio al “cattoleghismo”. Le righe salienti sono concentrate verso la fine, quando Giovagnoli annota: “Non è casuale che La lega sia nata in una fascia pedemontana dove forte era la tradizione cattolica”. Ma il giudizio si fa ancor più interessante dopo la premessa: “Chi viene dal mondo cattolico è in grado di cogliere ciò che è autentico in questa nostalgia (per un ‘mondo scomparso', ndr) e ciò che è artificioso nel modo di interpretarla, mostrando che è possibile coniugare senso di comunità e buona amministrazione”. Un'ammissione a suo modo magnanima, che gli consente di azzardare che “la strada del futuro passa infatti per una nuova alleanza tra masse popolari spaventate dalla globalizzazione ed élites cosmopolite a loro agio nel mondo globalizzato”. Chi conosce il pensiero catto-progressista, di cui lo stupore attonito di Rosy Bindi è un emblema tragicomico, può cogliere che quello di Giovagnoli è un giudizio nuovo, interessante e che non sarà privo di conseguenze. Che fa il paio con quello di Beppe Del Colle, quando evita di condannare la gente che “vuole sicurezza, meno tasse, più efficienza” e, vivaddio, il “federalismo fiscale”, non più giudicato incompatibile con i sacri dogmi delo solidarismo cattolico. Un cambio profondo rispetto al “condannismo” unanime per l'egoismo leghista che, ancora pochi giorni prima del voto, aveva fatto tuonare al cardinale di Milano, Dionigi Tettamanzi, giudizi duri contro i modelli di governo del centrodestra.
Il terremoto è destinato a scuotere in profondità i paradigmi del cattolicesimo di sinistra. Non è di poco conto la notazione di Giovagnoli, quando sottolinea una certa comunanza tra il localismo (magari nostalgico e impaurito) leghista e l'humus del cristianesimo nordista. Anzi tridentino, come sottolinea Gianni Baget Bozzo, secondo cui “non è casuale che il voto cattolico vada al centrodestra proprio nelle regioni dove esiste una vera tradizione cattolica, cioè quelle del nord toccate dalla Riforma tridentina”. A fronte dell'indebolimento dell'operoso modello del cristianesimo sociale, qualcosa si va muovendo nel profondo, come individua il sociologo della religione Massimo Introvigne, per il quale ciò che è successo, “contrariamente a quanto pensa Rosy Bindi, si capisce benissimo”. E cioè che “il mondo cattolico italiano è stato sistematicamente educato da Giovanni Paolo II, da Benedetto XVI a privilegiare i ‘valori non negoziabili' – vita, famiglia e libertà di educazione – e a mettere le altre questioni, pure importanti, in secondo piano”. Nota Introvigne che “nelle parrocchie, nei movimenti e su Internet per la prima volta circolavano ampiamente studi simili a quelli che i cattolici e i protestanti evangelical diffondono negli Stati Uniti a ogni elezione” a proprosito dei temi etici salienti, e che è stata questa bussola a orientare il voto verso la coalizione che più li garantiva. E infine che al suo interno i cattolici hanno scelto i leghisti, “che avevano votato e promettevano di votare ‘bene', su questi problemi”. Dallo spavento per la Lega, il suo “egoismo” e per il suo ciarpame pagano all'accettazione della Lega, se non come partito di riferimento, come scelta plausibile dei cattolici.
E questo, come ha scritto anche il sociologo della religione Franco Garelli, contro il sempre più tiepido appeal per un partito religioso identitario. Per Garelli, “in particolare, non ha funzionato il richiamo di Savino Pezzotta, che intendeva mietere il grano di una mobilitazione cattolica di popolo come quella del Family Day”. Per Garelli, “parte del mondo cattolico si coinvolge e scalda i muscoli in eventi para-religiosi come questo, ma essi non hanno una valenza politica, non sono luoghi o serbatoi di mobilitazione politica. Chi prende parte a questi avvenimenti può ritenere che i valori cari ai cattolici (vita, famiglia, bioetica, educazione, ecc.) siano meglio promossi o rappresentati più dai partiti del centrodestra che da nuove e incerte formazioni politiche”. E' indubbio che questo aspetto preoccupi un po' le gerarchie (oltre al personale politico direttamente implicato). Un giornalista sensibile a certi meccanismi come Franco Bechis ha raccontato ieri su Italia Oggi di una certa insoddisfazione che circolerebbe nella Cei per la prospettiva, ancora da confermare, che Silvio Berlusconi releghi il tema cruciale della famiglia a un ministero senza portafogli, senza affidarlo, per di più, a un esponente cattolico di spicco. E qui si scollina su un altro versante che la sparizione dei cattolici come forza politica organizzata rende particolarmente sensibile. E' sui temi etici “non negoziabili”, infatti, che il rischio di irrilevanza viene più patito. Anche se esprimerlo apertamente è scelta di pochi, come il vescovo di San Marino Luigi Negri, che poco prima del 13 aprile aveva ammonito: “In quasi tutte le liste che vengono presentate alla scelta degli elettori italiani, i candidati dichiaratamente cattolici sono stati posti in posizione subalterna, quando non esplicitamente eliminati”.
Allo stesso tempo il “toledismo”, inteso come lo stile del cardinale primate di Spagna Antonio Cañizares, disponibile a una forte conflittualità con il potere politico sui temi etici, in Italia è ancora lungi dall'attecchire, se mai attecchirà. Per il momento, a sostenere la necessità che dal mondo cattolico nasca un impegno politico diretto sui “valori non negoziabili” sono pochi intellettuali, per quanto puntuti. Uno è senz'altro il professore di Filosofia morale della Cattolica, Adriano Pessina, secondo cui nell'agone politico “va messo in dubbio il liberalismo della neutralità”, inteso come dogma politico al fondo relativista. Pessina guida il centro di Bioetica dell'ateneo dei cattolici italiani. Che senz'altro è un pensatoio influente della chiesa italiana. Quanto influente sul voto dei cattolici, si vedrà. (2. fine)
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