Affinità elettive

Guarda, un treno che vola

Stefano Cingolani

Fra due anni, quando le ferrovie saranno completamente liberalizzate, anche le linee aeree avranno i propri treni da far viaggiare ad alta velocità tra aeroporti e stazioni. Air France-Klm e Lufthansa sono già pronte, hanno comperato i superlocomotori da 300 chilometri l'ora e hanno prenotato le linee. Per non restare spiazzata, Deutsche Bahn, la società ferroviaria tedesca, ha assunto un manager Lufthansa per gestire il traffico passeggeri. Ma potrebbe, perché no, possedere un'aviolinea con la quale trasportare persone e merci. Logistica e alta velocità, ecco il binomio che guida la rivoluzione europea dei trasporti.

    Ripubblichaimo l'articolo apparso sul Foglio domenica 27 aprile:

    Fra due anni, quando le ferrovie saranno completamente liberalizzate, anche le linee aeree avranno i propri treni da far viaggiare ad alta velocità tra aeroporti e stazioni. Air France-Klm e Lufthansa sono già pronte, hanno comperato i superlocomotori da 300 chilometri l'ora e hanno prenotato le linee. Per non restare spiazzata, Deutsche Bahn, la società ferroviaria tedesca, ha assunto un manager Lufthansa per gestire il traffico passeggeri. Ma potrebbe, perché no, possedere un'aviolinea con la quale trasportare persone e merci. Logistica e alta velocità, ecco il binomio che guida la rivoluzione europea dei trasporti.

    Come sempre, c'è prima la fase hobbesiana del bellum omnium contra omnes, poi arriva la scrematura competitiva, infine una concentrazione basata sull'efficienza. Così, almeno, secondo i manuali. Ma la storia è sempre più vischiosa e in un decennio nasceranno alcuni megagruppi integrati: jet e treni superveloci per i passeggeri, aircargo e convogli merci per tutto il resto. Tra cielo e terra non ci sarà soluzione di continuità, come in un quadro di William Turner. Il futuro potrebbe chiamarsi railair, un bel nome per una nuova spa nel trasporto integrato. Se siete a Bonn e dovete andare a Roma, la cosa migliore da fare già oggi è prendere il treno fino a Francoforte e di qui l'aereo. Due biglietti diversi, però in stazione si può fare il check-in. Naturalmente il percorso lungo il Reno, per quanto bello, è un po' lento. Ma ancora per poco. In Francia hanno già una ragnatela superveloce che da Parigi collega Londra, Bruxelles, la Loira, Lione, Marsiglia e si estende anche a Bordeaux. I voli interni hanno visto crollare il loro volume d'affari. Poco importa perché ancor oggi sono quasi tutti Air France e il presidente, Jean-Cyrill Spinetta, che da buon enarca pensa in modo sistemico, compensa le perdite domestiche con l'espansione intercontinentale. Questo è lo scenario futuro, mentre noi ce la stiamo a menare con i nostri microaeroporti sotto ogni campanile e gli sferraglianti carri bestiame delle ferrovie pagati come Tgv.

    E pensare che potevamo essere all'avanguardia, come poteva accadere vent'anni fa nella telefonia o nel cablaggio se avessero completato il piano di Pascale, big boss della Stet, bollato nel 1996 da Amato perché in “conflitto tra ragioni di libertà e ragioni di potere”. Nei treni, per la verità, chi aveva visto giusto era lui, quello che voleva le locomotive sempre in orario. Si sa che Mussolini aveva una vera passione per le ferrovie (e i ferrovieri). L'aeronautica civile muoveva i primi passi, ma lui aveva già capito che bisognava mettere insieme strade, ferrovie e aeroplani per spostare cose e persone. Nacque allora il progetto Malpensa, un aeroporto in Brianza collegato in modo organico con Milano e Venezia. C'è chi dice che la localizzazione venne scelta per le pressioni del partito fascista locale. Altri sostengono che non c'era nulla di così bizzarro perché la zona aveva una solida cultura aeronautica visto che, proprio lì, ai margini della brughiera di Gallarate, Gianni Caproni costruì i suoi innovativi aerei. Dopo la guerra il sistema dei trasporti venne disintegrato, con la vittoria straripante dell'automobile.

    Quanto a Malpensa, il progetto è stato ripreso e lasciato molte volte, poi sappiamo com'è finito. Ma le cose stanno cambiando nuovamente. La liberalizzazione è arrivata e nel 2011 saranno pronte (con otto anni di ritardo) le linee ad alta velocità fra Napoli e Milano e fra Torino e Venezia. La concorrenza si scatenerà. Montezemolo e Della Valle hanno già prenotato i loro supertreni francesi. Anche Toto, il patron di Air One è della partita su un business di nicchia ma redditizio come il trasporto regionale nel settentrione, collegando tutta la dorsale ai piedi delle Alpi. A quel punto le Ferrovie saranno in attivo, prevede l'ad Mario Moretti: nel 2010 avranno un utile operativo di oltre un miliardo. Naturalmente, la condizione è che Pantalone saldi i debiti pregressi come ha fatto in questi anni. Moretti giura che i treni viaggeranno non solo in orario, ma pieni e in utile. Esattamente al contrario degli aerei Alitalia, semivuoti e in perdita. Difficile che per quella data, qualunque sia la soluzione scelta, la compagnia di bandiera possa fare altrettanto, cioè non solo ripianare le perdite, ma avere un business industrialmente sano. Allora, perché non pensare di nuovo in grande? Visto che il futuro (tutt'altro che lontano) è railair, perché non concepire in Italia una sorta di “Alitreni”?

    Ci aveva già pensato Pacini Battaglia. L'idea era già venuta una quindicina d'anni fa all'“uomo un gradino sotto Dio”, come lo chiamava Antonio Di Pietro: il finanziere Pierfrancesco Pacini Battaglia, detto Chicchi. “L'Alitalia, potrebbero darla alle Ferrovie”, disse in una telefonata al dc Emo Danesi intercettata dai magistrati. La compagnia di bandiera sembrava già spacciata e alle Fs guidate da Lorenzo Necci, arrivavano novemila miliardi di lire per l'alta velocità stanziati da Giuliano Amato nella Finanziaria del 1993. Ben più di una boutade, dunque. Se fossimo in Renania, se non ci fosse stata Tangentopoli, se non prevalesse la conventional wisdom sui carrozzoni di stato, sarebbe un'intuizione visionaria. Troppi se? Ma si può fare, con i se, persino la storia, figuriamoci la politica. “Alitreni” avrebbe senso, al di là della provocazione intellettuale? Immaginiamo che Alitalia resti indipendente, come la Fiat. Gli Agnelli persero la loro grande occasione nel 1986 quando erano secondi in Europa e stavano trattando con Ford. Alitalia s'è giocata la chance di diventare davvero grande con l'acquisizione di Klm. Poi l'azienda torinese ha mancato la possibilità di essere acquistata da Gm, come Alitalia da Air France. Ma la Fiat ha costruito una costellazione di joint venture sui prodotti. Alitalia potrebbe fare lo stesso: ridimensionarsi a compagnia italo-mediterranea e allearsi con grandi vettori per i viaggi europei e intercontinentali. Con l'avvio dell'alta velocità, però, vedrebbe cadere il volume d'affari anche sull'unica tratta redditizia, cioè Roma-Milano. Allora, solo l'integrazione con le Ferrovie potrebbe evitare che l'intero mercato italiano finisca in mano a compagnie low cost o alle grandi straniere. Troppo immaginifico? Sarà, ma senza l'immaginazione, non c'è impresa. Non lo ha detto Chicchi, bensì Schumpeter.