La moratoria di Sandra e gli altri prigionieri

Giuliano Ferrara

Sono contento, siamo contenti, che la rispettabilità sociale dell'aborto sia in calo. Contenti che Sandra abbia imposto a se stessa, con l'aiuto di suo marito, una piccola moratoria di valore assoluto. Contenti, noi che all'aborto abbiamo mancato di rispetto, ma contenti fino a un certo punto. Repubblica si conferma un giornale serio, reattivo. Ci mette a conoscenza della storia di Sandra, la ragazza sposata, che concepisce e ama l'idea di avere un figlio, ma guadagna poco e pensa di non poterselo permettere, dunque fissa la data dell'aborto presso un ospedale dell'area Vesuviana cioè dell'altra Gomorra, poi scrive a Napolitano e va sui giornali chiedendo aiuto, denunciando la sua situazione, infine decide per il meglio, si commuove perché durante un'analisi sente l'infinitamente piccolo respirare all'unisono con lei, rinuncia ad abortire la sua creatura, incassa una vasta solidarietà, rinuncia ai talk show e rientra nel privato.

    Sono contento, siamo contenti, che la rispettabilità sociale dell'aborto sia in calo. Contenti che Sandra abbia imposto a se stessa, con l'aiuto di suo marito, una piccola moratoria di valore assoluto. Contenti, noi che all'aborto abbiamo mancato di rispetto, ma contenti fino a un certo punto. Repubblica si conferma un giornale serio, reattivo. Ci mette a conoscenza della storia di Sandra, la ragazza sposata, che concepisce e ama l'idea di avere un figlio, ma guadagna poco e pensa di non poterselo permettere, dunque fissa la data dell'aborto presso un ospedale dell'area Vesuviana cioè dell'altra Gomorra, poi scrive a Napolitano e va sui giornali chiedendo aiuto, denunciando la sua situazione, infine decide per il meglio, si commuove perché durante un'analisi sente l'infinitamente piccolo respirare all'unisono con lei, rinuncia ad abortire la sua creatura, incassa una vasta solidarietà, rinuncia ai talk show e rientra nel privato.
    Contenti, ma fino a un certo punto. La storia di Sandra infatti non è privata e non è singolare. E' la storia di alcune decine di migliaia di aborti praticati in Italia, di milioni di aborti praticati nel mondo. “E' una pura pazzia – ha scritto Adriano Sofri – che la difesa della scelta personale di abortire non vada assieme all'impegno strenuo di sostenere la scelta di non abortire”. E' la parola d'ordine della nostra campagna sulla moratoria, fortunata, è la parola d'ordine della nostra campagna elettorale, strafortunata e presa a pernacchie in un clima di strano vitalismo prepolitico o antipolitico e di anarchia etica, per dirla con Berlusconi. Ma questo “impegno strenuo di sostenere la scelta di non abortire” chi deve prenderlo, chi deve essere sollecitato a prenderlo? E che cosa comporta?
    Sembrerebbe semplice. Per prima cosa il nuovo ministro della Salute, i presidenti delle Regioni, cioè i titolari dei poteri pubblici in materia di applicazione della legge 194/1978, votata trent'anni fa di questi tempi, devono ripristinare una lettura autentica delle norme sull'interruzione di gravidanza. Devono ritirare le linee guida sulla legge 40, piccolo e ipocrita capolavoro di logica abortista in vitro, e varare linee guida sulla 194 che consentano davvero di applicarla. Bisogna riconoscere che se Sandra avesse deciso altrimenti da come ha felicemente deciso ovvero per la soppressione del concepito, si sarebbe comminata una pena d'aborto equivalente a una pena di morte da giustizia tribale. L'aborto è sempre una pena di morte, ma in questo caso sarebbe stato anche illegale. La legge non prevede aborti intesi come pianificazione familiare, il “partorirò un'altra volta perché adesso non posso permettermelo economicamente”. La legge prende in carico a spese e sotto la responsabilità pubblica, per elevare un sacrosanto argine contro il commercio clandestino degli aborti o l'anarchia privata degli aborti, le interruzioni volontarie di gravidanza. E stabilisce che esse sono possibili, legali, quando è pregiudicata la salute fisica o psichica di una donna. Il concetto è ambiguo, si presta ad abusi, e sono stati compiuti milioni di abusi in trent'anni. Questi abusi sono la tribalizzazione dell'aborto, la sua accettazione moralmente indifferente da parte della società e dello stato, che lo considerano una soluzione anticoncezionale alla stregua dei preservativi e di quelle tonnellate di pillole del giorno dopo di cui si cibano irriflessivamente le povere ragazze costrette a martoriare il proprio corpo e la propria cultura dalla mentalità antinatalista e antivita legata all'idolo della libertà sessuale senza ragione e senza verità; ma è appena ovvio che agli abusi non si può rispondere obbligando Sandra a partorire o imponendole una pena legale se abortisca. E allora, come si risponde?
    Si risponde rimuovendo drasticamente le cause materiali dell'aborto. Stanziando cifre congrue per sostenere la maternità. Promuovendo con un piano per la vita con risorse di almeno lo 0,5 del Pil tutto quel che occorre per considerare una donna in gravidanza un soggetto sociale privilegiato, nel rispetto della sacralità della vita che è nel suo grembo e nel rispetto dell'interesse sociale diffuso all'inversione dell'attuale denatalità. Si risponde sostenendo i volontari della vita, e legando strettamente le interruzioni di gravidanza a un processo in cui lo scambio sociale, la discussione e la ricognizione privata e discreta delle cause dell'aborto diventino la regola. Lo scandalo nello scandalo è che noi, salvo l'indagine volontaristica e benemerita di un Matteo Crotti a Modena, non siamo in grado di sapere perché si abortisce. Non vogliamo saperlo. E' troppo imbarazzante. E da trent'anni facciamo in modo di non saperlo evitando di domandare e domandarci semplicemente: perché? Da trent'anni rilasciamo certificati di aborto voltandoci dall'altra parte, alludendo a un “diritto” che la legge non prevede. In Italia non esiste il diritto di aborto, ma la presa in carico di un aborto da parte dello stato, a certe condizioni.
    Lo “strenuo impegno” a sostenere la scelta di non abortire deve nutrirsi anche di altro. Se Sandra avesse deciso diversamente da come ha felicemente deciso, quel puntino che respira all'unisono con lei, a un certo stadio della sua evoluzione, sarebbe stato sradicato chirurgicamente dal suo corpo, o chimicamente, e gettato via come un “rifiuto speciale ospedaliero”. Lo aveva notato Sofri nel suo pamphlet antiabortista (sottolineo: antiabortista) che aveva paradossalmente intitolato “Contro Giuliano”. Questa situazione deve cambiare. L'inganno sociale di cui sono vittime donne e bambini deve finire. Difendo in mancanza di soluzioni migliori la tua facoltà di abortire senza conseguenze penali che ti porterebbero ad abortire clandestinamente, ma difendo anche il diritto dell'essere umano concepito e soppresso a essere sepolto con dignità a spese dello stato. Il giro di frase e la sua sostanza sono puro Voltaire. Sono un eccesso di razionalismo che prescinde dalle discussioni sul battesimo e sull'anima. Sono il riconoscimento laico del sacro, del separato, dell'intoccabile, del non negoziabile. Sono la moratoria della menzogna, la sua soppressione da cui tutto può ripartire.
    Insomma. Noi vi abbiamo scritto in dodici punti dettagliati di un programma elettorale qualsiasi quel che c'è da fare, invece di raccogliere voti laici dei cattolici e voti cristiani dei laici abbiamo raccolto pomodori, uova e linciaggi idolatrici, materiali e a mezzo stampa. Ora fate quel che vi abbiamo detto, amici filistei di destra e di sinistra, vincenti e perdenti. Fatelo, e fatelo in fretta. Per un braccio della morte da cui un concepito è evaso, e una madre lo ha riacciuffato per i capelli con sovrana pietà, ci sono migliaia di altri prigionieri da liberare. Siate intelligenti e pietosi, cari credenti e non credenti e diversamente credenti. Credete.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.