A trent'anni dall'assassinio del presidente della Dc - Dal Foglio del 10 maggio

…l'addio alla Repubblica di Montini e alla pietà laica e cattolica (seconda parte)

Giuliano Ferrara

Intanto però due coincidenze simboliche nessuno le nota, e invece sono notevoli. La prima è che subito dopo il sacrificio della vita di Moro, dopo il lancinante dibattito sul valore di una vita in rapporto ad astratti principi, una specie di tragica prova generale dell'etica pubblica nazionale, si aprirono le porte della legislazione all'aborto di massa indifferente, e da allora ad oggi cinque milioni di vite sono state sacrificate all'astratto principio dell'autodeterminazione.

    Intanto però due coincidenze simboliche nessuno le nota, e invece sono notevoli. La prima è che subito dopo il sacrificio della vita di Moro, dopo il lancinante dibattito sul valore di una vita in rapporto ad astratti principi, una specie di tragica prova generale dell'etica pubblica nazionale, si aprirono le porte della legislazione all'aborto di massa indifferente, e da allora ad oggi cinque milioni di vite sono state sacrificate all'astratto principio dell'autodeterminazione. Accettammo la pena di morte di un tribunale totalitario per ragion di stato, e subito dopo introducemmo la pena legale d'aborto senza moratoria lungo trent'anni della nostra vita, una pena irrogata dal tribunale del totalitarismo culturale moderno. A Moro fu rifiutata la grazia per costruire un argine spietato contro la dissoluzione dello stato e della sua legittimazione politica, e poi per costruire un argine contro la piaga sociale dell'aborto clandestino varammo una legge, la 194, piena di buone intenzioni, che si è risolta alla fine nel tradimento delle sue premesse di tutela sociale della maternità, nella caduta di ogni argine e di ogni pietà, nella normalizzazione e piena accettazione e rivendicazione sociale dell'aborto come di una soluzione gratuita, di massa, indifferente che santifica e legittima il nostro modo di vita. Modi di sopravvivenza a spese degli altri, tra ragion di stato e ragione di società.
    La seconda coincidenza è la fine della Repubblica. La continuità formale è assicurata anche ora che nasce un governo senza più un ministro cattolico, ora che tra leghisti, bambine, imprenditori del nordest e sindaci postfascisti si vede bene quanto poco abbia resistito del nostro passato storico, ora tutti dovrebbero riconoscere che con l'esecuzione di Moro nel carcere del popolo, atto conseguente di una logica combattente di tipo rivoluzionario, le brigate rosse si esposero all'immenso rischio tattico di non riuscire a resistere alla reazione della macchina repressiva dello stato, rilegittimata dal partito della fermezza, ma conseguirono il loro obiettivo strategico, e il cuore dello stato subì un infarto devastante, da cui quella Repubblica dei partiti non si è mai più definitivamente ripresa. Ci vorranno quindici anni per arrivare all'esito delle feroci lotte tra gli eredi di Moro, sui quali il suo sangue ricadde come il prigioniero aveva previsto nella celebre maledizione, ma il terrore si presentò puntuale all'appuntamento nel 1993, nella forma dell'attacco giudiziario contro un sistema sradicato in blocco come corrotto e mafioso. Quindici anni dopo l'esecuzione del prigioniero politico, i partiti in blocco che avevano firmato la Costituzione, quelli sopravvissuti al crollo del muro di Berlino, furono tutti presi prigionieri. Era saltato l'equilibrio.
    Quei quindici anni, aperti dalla morte catastrofica di Moro e subito dopo da quella dello sconfitto Paolo VI, il vero creatore della democrazia cristiana repubblicana reso impotente dalle brigate rosse, il vero custode della classe dirigente italiana che la riunì un'ultima volta in Laterano per opporre al disegno di Dio un interrogativo tragico sul perché non avesse “esaudito la nostra supplica”, furono poi segnati dall'arrivo del profetismo polacco, cioè l'apertura di un altro capitolo mondiale del cattolicesimo, con l'abbandono al suo destino della diletta nazione italiana, sballottata tra le onde della fine della guerra fredda e della vittoria dell'occidente cristiano e della ritrovata Europa centrale sul comunismo dell'est. Poi un altro ciclo di quindici anni ci ha portato alla coincidenza dell'oggi: il cattolicesimo politico tradizionale, quello preparato come classe dirigente negli anni del fascismo, quando a Mussolini fu strappata l'agibilità per l'Azione cattolica, quello appunto di Moro e degli universitari cattolici, quello della vera eredità dc che attraverso un Andreatta era arrivata fino a Prodi e in qualche modo perfino alle code di cometa del doroteismo come Casini, si inabissa definitivamente nella vittora schiacciante, plebiscitaria degli homines novi. (fine)

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.