United States Obamerica
McCain-Obama. Non è ancora ufficiale, Hillary combatterà fino all'ultimo per contendere al senatore nero la nomination, ma i quartieri generali del senatore repubblicano e del suo probabile avversario democratico stanno rimodulando toni, programmi e strategie in vista delle presidenziali del 4 novembre. La campagna di McCain ufficialmente dice di essere pronta ad affrontare entrambi i candidati, ma in realtà sono settimane che ignora la Clinton e si concentra su Obama, peraltro ora considerato un avversario più abbordabile di Hillary, al contrario di quanto pensasse due mesi fa. Dopo la vittoria di martedì in Nord Carolina, Obama ha indossato i nuovi panni da candidato presidenziale, cominciando a mettersi alle spalle la sfida con Hillary.
New York. McCain-Obama. Non è ancora ufficiale, Hillary combatterà fino all'ultimo per contendere al senatore nero la nomination, ma i quartieri generali del senatore repubblicano e del suo probabile avversario democratico stanno rimodulando toni, programmi e strategie in vista delle presidenziali del 4 novembre. La campagna di McCain ufficialmente dice di essere pronta ad affrontare entrambi i candidati, ma in realtà sono settimane che ignora la Clinton e si concentra su Obama, peraltro ora considerato un avversario più abbordabile di Hillary, al contrario di quanto pensasse due mesi fa. Dopo la vittoria di martedì in Nord Carolina, Obama ha indossato i nuovi panni da candidato presidenziale, cominciando a mettersi alle spalle la sfida con Hillary. Obama è tornato a essere visionario, profetico e immaginifico, ma anche a delineare la sua strategia di novembre chiaramente centrata sul descrivere McCain come il continuatore di un terzo mandato di Bush che, dall'Iraq all'economia, offre soluzioni che l'America non si può più permettere. La previsione è che la gara tra McCain e Obama avrà pochissimo di tradizionale, sarà sorprendente per molti aspetti e ribalterà alcune certezze politiche consolidate nell'ultimo decennio. Non mancheranno i colpi bassi (i repubblicani non mollerano il passato radicale di Obama, i liberal come sta facendo il sito Huffington Post mettono addirittura in dubbio l'eroicità di McCain in Vietnam), ma i due candidati si rispettano e sono tra i più corretti e cavallereschi di Washington. Il punto è la natura dei due sfidanti e il loro essere sia candidati di svolta, epocale nel caso di Obama, sia di continuità. McCain è un maverick, un conservatore di spirito indipendente, capace di andare contro l'ortodossia di partito e di trovare punti d'accordo con gli avversari su immigrazione, ambiente, giudici, finanziamenti della politica. Ma è anche il più solido esponente della dottrina di “national greatness” negli affari di politica estera, oltre che favorevole alla riduzione fiscale, contrario agli sprechi di denaro pubblico e, naturalmente, all'aborto.
Il suo problema è che ai conservatori sembra troppo liberal e ai liberal troppo conservatore, ma l'altra faccia della medaglia – almeno nelle intenzioni dei suoi strateghi – è che McCain è l'unico conservatore in grado di tenere i voti repubblicani e di conquistarne di nuovi tra gli indipendenti e i moderati dell'altra parte (il senatore Joe Lieberman, candidato vicepresidente di Al Gore, sta con lui). Avere come avversario Obama, anziché Hillary, per certi aspetti aiuta McCain, per altri no. Hillary sarebbe un'avversaria più tradizionale, fortissima nelle roccaforti democratiche sulle due coste est e ovest, più debole nel sud conservatore. Con la Clinton la lotta si ridurrebbe ai soliti Ohio e Florida che nel 2000 e nel 2004 hanno deciso le elezioni a favore di George W. Bush. In fondo all'ex first lady, per entrare alla Casa Bianca, basterebbe ripetere il disastroso risultato di John Kerry nel 2004, più uno di quei due stati. E oggi, stando ai sondaggi e alle previsioni di Karl Rove, Hillary avrebbe più chance di Obama di diventare presidente.
Con Obama è diverso e potrebbe accadere di tutto. Per ciò che rappresenta, per la ventata di novità e per la straordinaria capacità di appellarsi all'unità nazionale, Obama è potenzialmente capace di scompaginare la classica divisione tra conservatori e liberal e di fare il pieno di voti senza distinzioni di appartenenza politica. Ma, d'altro canto, specie dopo questa lunga stagione di primarie contro Hillary , è cominciato a emergere un altro Obama, più radicale, più liberal, più fedele all'ortodossia di partito su quasi tutti i temi di campagna elettorale. Le bordate di Bill e Hillary Clinton, convinti dopo la prima sconfitta in Iowa che l'unica arma a loro disposizione fosse quella di ricordare all'America bianca che un candidato nero ha poche psossibilità di elezione, hanno contribuito a sporcare l'immagine messianica di Obama.
I Clinton non sono riusciti a ridimensionarlo del tutto al ruolo di candidato afroamericano, anziché a quello di primo serio candidato post razziale, ma il suo rapporto ventennale con il reverendo Jeremiah Wright, alcuni atteggiamenti radicali di sua moglie Michelle, assieme a un comportamento che spesso è sembrato professorale, elitario e sconnesso dal mondo reale, sono alla base delle grandi difficoltà che Obama incontra rispetto all'elettorato bianco, ai cattolici, agli ispanici e, improvvisamente, anche agli indipendenti e ai moderati.
I suoi strateghi sottolineano che il fenomeno Obama ha coinvolto migliaia e migliaia di giovani e fatto aumentare ovunque le registrazioni al partito e l'affluenza alle urne. I commentatori conservatori cominciano a pensare, o a sperare, che possano aver ragione quei clintoniani che da settimane avvertono il loro partito di non affidarsi a un candidato che non è riuscito ad ampliare la sua base elettorale di afroamericani, intellettuali e studenti. David Brooks ha scritto sul New York Times che se Obama non tornerà quello d'inizio anno, capace di unificare il paese, a novembre si presenterà come il classico candidato liberal, anzi molto più di sinistra dei suoi predecessori Kerry, Gore e Clinton, quindi facilmente battibile da un repubblicano tradizionale che punti tutto su sicurezza nazionale e tasse. Senonché McCain non è un repubblicano tradizionale e non potrà mai esserlo in modo convincente, anche perché perderebbe gran parte del suo appeal. Da qui l'idea pressoché unanime che la sfida McCain-Obama cambierà la geografia politica degli Stati Uniti. McCain potrebbe tentare di conquistare i voti dei Reagan Democrats, quelli che ancora adesso preferiscono Hillary a Obama, e quindi di vincere o perlomeno essere competitivo in quegli stati considerati roccaforti liberal come la Pennsylvania, il New Hampshire, il New Jersey, il Michigan, il Wisconsin, addirittura la California. Se Obama non troverà una via d'uscita dall'angolo in cui è stato cacciato dai Clinton, McCain potrebbe riuscire a tenere nella casella repubblicana anche Florida e Ohio, oltre a quegli stati del west a forte presenza ispanica come Nevada e New Mexico dove comunque i democratici avranno grandi possibilità. Obama potrebbe approfittare della probabile scarsa mobilitazione pro McCain degli evangelici al sud, in modo da fare incursioni in Virginia, Colorado, Iowa, dove è quasi certo che vinca, ma anche in Missouri e, grazie alla grande presenza di afroamericani, addirittura in Nord Carolina e Georgia.
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