Mariarosa Mancuso in diretta dalla croisette
Appunti dal festival di Cannes
A pensar male si indovina, o almeno così insegna la saggezza popolare. A pensar troppo non si indovina quasi mai. Mancavano candidati fuoriclasse per l'apertura del Festival di Cannes, quest'anno. Una settimana dopo la conferenza stampa, il direttore Thierry Frémaux – finalmente solo alla guida, senza dividere la pedaliera con l'ex direttore e suo istruttore Gilles Jacob, che ne ha voluto saggiare l'indipendenza di giudizio e le doti da padrone di casa – ha finalmente sciolto le riserve, annunciando per la prima serata di gala “Blindness” di Fernando Meirelles e per l'ultima “What Just Happened” di Barry Levinson.
A pensar male si indovina, o almeno così insegna la saggezza popolare. A pensar troppo non si indovina quasi mai. Mancavano candidati fuoriclasse per l'apertura del Festival di Cannes, quest'anno. Una settimana dopo la conferenza stampa, il direttore Thierry Frémaux – finalmente solo alla guida, senza dividere la pedaliera con l'ex direttore e suo istruttore Gilles Jacob, che ne ha voluto saggiare l'indipendenza di giudizio e le doti da padrone di casa – ha finalmente sciolto le riserve, annunciando per la prima serata di gala “Blindness” di Fernando Meirelles e per l'ultima “What Just Happened” di Barry Levinson. Conoscendo il linguaggio dei festival, vuol dire che sette giorni sono trascorsi per schiodare Harrison Ford e il suo ultimo “Indiana Jones” dalla collocazione domenicale, cercando nello stesso tempo di convincere le quattro ragazze di “Sex And The City” a mostrarsi sulla Croisette. Falliti il piano A e il piano B, supplisce il piano C. Un bell'incubo postapocalittico, o forse preapocalittico, comunque fotografato da César Charlone con una cura da spot pubblicitario Benetton, se decidessero di girarne uno tra i mucchi di spazzatura a Napoli. Viene da “Cecità”, romanzo del premio Nobel portoghese José Saramago. Lo ha girato il regista brasiliano di “City of God” (bassifondi di Rio de Janeiro) e “The Constant Gardener” (miserabili del Kenia). Una storia zeppa di metafore, redenta sulla pagina dalla bravura di uno scrittore che dopo due pagine già era riuscito a mettere i brividi al lettore, spingendolo a prendere appuntamento con l'oculista per un controllo. Fernando Meirelles aggiunge la stravista collezione di scene che nei film con messaggio funge da misuratore di umanità. Una comunica allo spettatore distratto che “abbiamo toccato il fondo”, un'altra che “viviamo come bestie, ma nel nostro petto batte un cuore ancora sensibile alla musica”, una terza che “in situazioni estreme scappare con due borse piene di cibo da una folla affamata si può”, una quarta che “saranno le donne a salvare il mondo”, un'altra ancora ristabilisce l'amicizia tra l'uomo e il cane, sospesa per sopraggiunta apocalisse. I ciechi diventano tali da un momento all'altro, per un'epidemia. Non si trova cura, quindi vengono messi in quarantena dentro un vecchio ospedale, che poco tempo dopo pare un campo di concentramento. Intanto sentiamo ripetere almeno tre volte la morale della favola: erano già ciechi quando vedevano, indifferenti alle sofferenze del mondo. Mark Ruffalo è l'oculista, Julianne Moore la moglie amorevole che si finge cieca per non separarsi da lui, mentre Gael Garcia Bernal proclama la monarchia nel dormitorio tre, con l'aiuto di un cieco dalla nascita, quindi avvantaggiato. Il film di chiusura, nonostante la presenza di Robert De Niro, è stato già spernacchiato al Sundance (pare lo abbiano rimontato da capo, speriamo). In mezzo vedremo i film in gara per la Palma d'Oro. Dove, incredibile a dirsi, i registi che mettono più curiosità (tra vari vecchi tromboni e qualche giovane di provata lentezza artistica) sono i due italiani: Paolo Sorrentino con “Il divo” e Matteo Garrone con “Gomorra”. Non è questo il momento – e non ce ne sarà neanche un altro: la frase nel cinema va abolita, se la accollino gli stilisti e i produttori di Cinquecento – per riciclare vecchie sciocchezze del tipo “dove va a finire l'immagine italiana del mondo?”. Siamo a Cannes, mica a un concorso di belle statuine. (Intanto Sean Penn, presidente della Giuria, ha inaugurato il festival con un attacco indiretto a George W. Bush).
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