L'ultimo libro del giornalista sul lato oscuro della guerra partigiana

Pansa e gli inverni delle donne fasciste uccise quando “nevicava sangue”

Annalena Benini

C'è una canzone, una sola in tutto il romanzo, ed è “Tornerai”, cantata alla radio in cucina dal Trio Lescano. “Tornerai da me perché l'unico sogno sei del mio cuor, tornerai tu perché senza i tuoi baci languidi non vivrò”. E' la canzone dei ritorni alla vita, all'amore, agli abbracci, ma ne “I tre inverni della paura” (Rizzoli, uscirà in Italia il 21 maggio), ci sono solo i ritorni mancati. I letti vuoti, i corpi mai ritrovati, le giovinezze schiantate, la gente presa dentro le case e ammazzata nei fossi, le dita mozzate per portar via gli anelli. Sono le mostruosità della guerra civile in Emilia, dopo la caduta del fascismo. Le cose assolute della guerra mescolate alla ferocia di anni in cui “nevicava sangue”, ha scritto Giampaolo Pansa, e sembrava non finire mai.

    C'è una canzone, una sola in tutto il romanzo, ed è “Tornerai”, cantata alla radio in cucina dal Trio Lescano. “Tornerai da me perché l'unico sogno sei del mio cuor, tornerai tu perché senza i tuoi baci languidi non vivrò”. E' la canzone dei ritorni alla vita, all'amore, agli abbracci, ma ne “I tre inverni della paura” (Rizzoli, uscirà in Italia il 21 maggio), ci sono solo i ritorni mancati. I letti vuoti, i corpi mai ritrovati, le giovinezze schiantate, la gente presa dentro le case e ammazzata nei fossi, le dita mozzate per portar via gli anelli. Sono le mostruosità della guerra civile in Emilia, dopo la caduta del fascismo. Le cose assolute della guerra mescolate alla ferocia di anni in cui “nevicava sangue”, ha scritto Giampaolo Pansa, e sembrava non finire mai. Nora aveva vent'anni, un fidanzato che non la sposò perché non tornò mai dalla Russia (ecco il primo, tristissimo, ritorno mancato), una bambina concepita fuori dalle regole in quell'amore sotto la quercia prima che lui partisse per sempre, e la solitudine assoluta delle donne in quegli anni così vicini a questi: niente sorrisi, niente giovinezza, solo aspettare di vedere arrivare qualcuno, amico o nemico. Qualcuno a salutarla o qualcuno ad ammazzarla, in nome del comunismo, della rivolta proletaria, in nome dei suoi soldi di giovane signora e di suo padre che da ragazzo era stato squadrista (non gli verrà perdonato). Lo sguardo di questa donna accompagna i mancati ritorni, incarna la paura fino al 1946, e la rabbia: “Loro (gli uomini, ndr) hanno scelto che cosa fare, hanno deciso di combattere, sono andati dove gli sembrava giusto. Io invece non ho deciso niente, non ho scelto nulla, non posso andare da nessuna parte”.
    Le donne non decidono mai, aspettano, tengono in casa una pistola, qualcuna impara a usare il fucile, contano le provviste, stringono i bambini, fanno la marmellata di susine, smettono di respirare, si svegliano la notte perché sentono i colpi alla finestra. Quando arrivarono in casa quelli della brigata Garibaldi, tre ragazzi, uno colpì allo stomaco Nora con il calcio del fucile. Volevano centomila lire. Non c'è un solo momento di sollievo in questo romanzo, sconvolgente perché racconta la storia minima ma sterminata dell'orrore, i massacri accaduti, gente uccisa con una mela in bocca (la mela voleva dire: il morto è un fascista, questo è un omicidio politico), ragazzi fatti sfilare in uno stadio legati a una corda, col pubblico sugli spalti, per mitragliarli, gente buttata nel Po con le mani legate e lasciata annegare, fratelli ammazzati insieme a bastonate, ragazze colpevoli di avere la tessera del Partito fascista repubblicano prese da casa, violentate, rapate a zero, picchiate, rimandate a casa con la terra in bocca, e dopo un mese prese di nuovo e uccise. Una aveva tre bambini piccoli. “Ho qui dentro ognor la tua voce che dice tremando ‘Amor', tornerò, perché tuo è il mio cuor”. E non tornano. Li ammazzano mentre guidano la macchina, mentre vanno in bicicletta, li ammazzano se non vogliono pagare la tassa sui ricchi, e se sono partigiani ma col fazzoletto verde invece che rosso: li ammazzano se non sono comunisti. Mentre esplodeva la vita, la musica, il cinema, le calze di nylon, Nora se ne stava sfollata in campagna, a vent'anni, aveva tre ragazzi armati a fare la guardia alla casa e qualche amico corteggiatore, due giovani uomini innamorati di lei (uno fascista, l'altro partigiano) che le raccontavano ogni cosa e però non pensarono mai a proteggerla, non accolsero mai le sue preghiere di smetterla, di restare lì con lei. Dovevano partire, nascondersi, combattere, tornare all'improvviso, salutarla, infine, entrambi, morire di una morte orrenda. Loro combattevano e gli altri aspettavano, cercando di non farsi notare.“Tornerai perché il tuo cuor è preso da un amor, senza i baci tuoi non so se vivere potrò”. Pansa racconta soprattutto le storie di quelli che aspettavano solo di poter ricominciare a vivere, quelli che non avevano mai imbracciato un'arma e invece furono uccisi, in Emilia, dentro a un pezzo di storia che schianta e che lui fa guardare dritto in faccia a una donna (lei voleva solo sposarsi con l'abito bianco). Ma non c'è nemmeno il lieto fine, è impossibile respirare.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.