L'Inter campione d'Italia
Spalle al muro
Strano, però. Non ha messo le mani avanti. Forse a Roberto Mancini conveniva di più non parlare prima, stare zitto quando avrebbe dovuto. Invece prometteva. Sceglie adesso il silenzio. Ora che non ha più scuse. Dice cose tecniche, parla di schemi e moduli. Questo lo metto qui, quest'altro lì. Posso giocare col 4-3-3, col 3-4-1-2, col 4-4-2. Rombo, albero di Natale, tre punte, due punte e una mezza punta. Risultati e obiettivi forse sono troppo scontati per essere ripetuti ad alta voce. Forse è pudore.
Strano, però. Non ha messo le mani avanti. Forse a Roberto Mancini conveniva di più non parlare prima, stare zitto quando avrebbe dovuto. Invece prometteva. Sceglie adesso il silenzio. Ora che non ha più scuse. Dice cose tecniche, parla di schemi e moduli. Questo lo metto qui, quest'altro lì. Posso giocare col 4-3-3, col 3-4-1-2, col 4-4-2. Rombo, albero di Natale, tre punte, due punte e una mezza punta. Risultati e obiettivi forse sono troppo scontati per essere ripetuti ad alta voce. Forse è pudore. C'era Moggi, gli arbitri, la federazione. C'era la Juventus: la triade e Capello. C'era il Milan: Galliani e Ancelotti. Tocca a lui, ora. Stasera comincia. La Supercoppa: la vincitrice del campionato contro la vincitrice della Coppa Italia. L'Inter avrebbe partecipato perché ha vinto la coppa. Ci arriva, invece, con lo scudetto sulla maglia. Gli scherzi di un'estate di pallone un po' troppo agitata. Lui se l'è preso senza molte storie e se l'è cucito sul petto: “E' il giusto premio per gli onesti. Ce lo siamo meritato”. Eccolo, allora. San Siro, contro la Roma: un, due, tre, stella. Mancini apre gli occhi e si ritrova vincitore senza aver mai vinto. Si ritrova anche più che favorito. Quest'anno dovrebbe vincere il campionato a gennaio: venti punti di distacco e tutti a pensare alla Coppa dei Campioni, ché quella è veramente difficile da subito, con Bayern Monaco e Spartak Mosca. La serie A no: quest'anno è una barzelletta. Senza Juve e con il Milan penalizzato, con la Fiorentina costretta a fare i punti per la Champions per riuscire a salvarsi. Gli avversari più pericolosi sono la Roma e il Palermo. Tornerà il Milan, però parte da meno otto, ha cominciato la stagione prima, ha fatto pochi acquisti. Non è come l'anno scorso. Adesso che dice? Stai a vedere che a Mancini non piace. Forse era meglio stare in scia: si fatica di meno e si risparmiano le forze per lo sprint. Da furbi, però fa vincere. Mancio non è mai riuscito a farlo: ha preso una squadra che non vinceva da molto prima che arrivasse lui. E' partito volando basso, poi ha sbracato: ha promesso gioco divertente e vittorie, non ha dato né l'uno né le altre. Gli chiedevano solo di stare incollato a Juve e Milan, poi di provare uno scatto. Invece a ogni salita ha preso più distacco, ha mollato la ruota dell'avversario, ha abbandonato la gara. Nervoso e irascibile. Si poteva nascondere e si è nascosto: quelli giocavano sporco, noi no. Allora è passato per quello che l'aveva detto, che aveva provato a scoprire i trucchi: tutti i litigi con Luciano Moggi e con il resto della dirigenza Juve, le accuse agli arbitri, le allusioni al sistema. Big Luciano s'è divertito a stuzzicarlo anche dopo: “Sette o otto mesi fa in una sua intervista disse: ‘A Moggi non rispondo, lo farà lui nelle sedi opportune'. Una dichiarazione che mi ha impressionato molto, perché o sapeva qualcosa o, se non lo sapeva, ha tirato a indovinare e ci ha azzeccato'”. Mancini non replica. Rischia di mordersi la lingua, ora: non può non vincere adesso che i tribunali dello sport hanno dato ragione alle sue congetture. Forse sta zitto per questo: se fallisce quest'anno se lo porterà dentro per sempre, passerà per quello incapace di vincere anche senza avversari. Ci saranno problemi anche in caso di vittoria: gli diranno che è troppo facile senza la Juve e con il Milan azzoppato. E poi con quello che gli hanno costruito intorno: Crespo, Vieira, Ibrahimovic, Grosso. La squadra dei suoi desideri. Gli serviva un esterno sinistro: Moratti gli ha preso l'eroe di Germania 2006. Gli serviva una pertica in mezzo al campo ed è arrivato il francese. Gli serviva un attaccante veloce, tecnico, forte, ma che non desse fastidio ad Adriano, ed è arrivato Zlatan. Chiedi e ti sarà dato: stavolta non può dire di non aver avuto tutto. Stavolta non si può neanche tirare fuori il problema Recoba, che Moratti continua a pagare una follia e che negli anni scorsi era una facile scusa per giustificare alcuni errori di campagna acquisti.
Roberto Mancini non ha alibi: spalle al muro a 41 anni. Si deve prendere quello che ha sempre pensato gli altri gli abbiano tolto. Massimo Moratti anche. Anzi lui di più. Allora tanto per cominciare, all'inizio di questa stagione ha provato a prendere Fabio Capello. Non c'è riuscito, s'è tenuto Roberto. Però ha parlato: “Confermo Mancini per un altro anno, ma come tutti considero Capello il miglior allenatore in circolazione, ho un grande rispetto per la sua professionalità”. Mancio ha incassato. Deve aver sofferto un po', però vallo a smentire il povero Moratti: lui si ricorda la partita di Villareal. Se la ricordano tutti, veramente. Va bene: all'Inter bastava un pareggio, va bene anche che quello stadio è un mezzo inferno. Però non si può guardare una squadra che non fa un solo tiro in porta in un'intera partita, non è possibile non pensare che l'allenatore non abbia sbagliato tutto, che si sia giocato la partita più importante della stagione nel peggior modo. Non è pensabile anche che il mister non si sia accorto dei suoi calciatori che non si reggevano in piedi, come Veron. Allora qualche cosa non funzionava. Qualcosa va in corto circuito: nella vita di Mancini ci sono troppe cose così. Forse dentro è ancora un calciatore e vive di simpatie e antipatie. Era tanto amico di Christian Vieri. Avevano giocato insieme, poi s'erano trovati all'Inter, uno allenatore, l'altro giocatore: Bobo era in campo spesso anche quando non ce la faceva. L'anno scorso è successo proprio con Veron, usato nelle partite importanti nonostante fosse fuori forma e soprattutto nonostante giocasse controvoglia. Anche con lui, Mancio era stato compagno ai tempi della Lazio. Adesso ha rivoluto Crespo, altro compagno da Roma e che Roberto non ha mai allenato. Così è andato via Pizarro, il calciatore che teoricamente era stato comprato per fare da cervello dell'Inter della passata stagione. Preso, strapagato e mai usato. Eppure il mister l'aveva visto così all'inizio: “Sapevo che era bravo, ma non pensavo che ci mettesse solo mezz'ora a integrarsi con la squadra”. Ecco uno così, quando sarebbe servito, non l'ha mai fatto giocare. Quello si agitava, si faceva vedere, chiedeva di entrare e l'allenatore immobile: dentro Kily Gonzalez, Stankovic spostato in mezzo e Pizarro sempre in panchina. Avrà avuto i motivi suoi. Il problema è stato risolto: Spalletti si è portato Pizarro a Roma. Mancini l'ha perso e probabilmente se ne frega. Forse non gli serviva davvero. In fondo la squadra dovrebbe averla in testa lui. Non ha ancora deciso come farla giocare. Due anni fa si presentò a Milano con questa idea: “Ho in mente quattro Inter. Quando hai tanti talenti il modulo viene dopo e può essere cambiato”. Da quelle quattro per due stagioni non è venuta fuori una buona. Si ricomincia da zero, con un sacco di gente in più e altre idee che frullano nel cervello. Ai tifosi dell'Inter basterebbe riapplicare il concetto che Roberto usava prima di arrivare a Milano: a Roma, faceva giocare la Lazio benissimo. Quella squadra aveva dovuto vendere Nesta e Crespo per salvarsi dal fallimento, ma faceva divertire. E divertendo vinceva. Ora: il replay, ma fatto con giocatori più forti e avversari più scarsi dovrebbe portare da qualche parte. Invece Mancio per due anni è rimasto fermo, incapace di ripetere quello che faceva a Roma. Che poi non è stata la prima esperienza, quella. La prima panchina vera è stata a Firenze. C'era ancora Cecchi Gori presidente. Con VCG Roberto s'è trovato benissimo: “Un grande. Una persona tutta da conoscere. Era sempre convinto di avere i giocatori più forti e quando parlavamo di strategie di mercato, io dicevo: potremmo fare uno scambio e dare quel calciatore, e indicavo uno che da noi non giocava molto. E lui: ‘Ma scherzi? Non è possibile. Non è possibile. E' il più forte in Italia nel suo ruolo'”. Anche con Sergio Cragnotti andava d'accordo. L'ex presidente della Lazio lo prese nel 1997 per fargli fare le ultime stagioni da calciatore. E' lì che Mancio ha vinto il suo secondo scudetto. Poi promosso viceallenatore con Sven Goran Eriksson, poi la parentesi a Firenze e il ritorno a Roma da allenatore vero: “Con il presidente Cragnotti ho avuto un rapporto splendido. Con me è stato di parola e ha mantenuto ogni impegno preso”.
Le avventure in Lazio e Fiorentina forse spiegano Mancini meglio di molte interviste. Sembra che Roberto abbia bisogno di sentirsi indispensabile. Come ai tempi della Sampdoria, quando tutti dicevano che la formazione la facevano lui e Vialli, invece di Boskov. Ci credeva pure lui, probabilmente, prima di smettere di giocare e mettersi in panchina: “E' vero mister Boskov ci consultava, ma era tutta una finta per farci sentire importanti. Poi decideva da solo. Come una volta alla vigilia di un Sampdoria-Milan, quando ci disse che avrebbe fatto giocare Fusi in marcatura su Gullit. Io e Vialli eravamo preoccupati: ‘Ma come? E' una follia. Ci pensi bene'. Allora lui ci richiamò e ci disse: ‘Ho cambiato idea, marcatore sarà Vierchowod'. Invece prima di entrare in campo il mister fece la squadra: ‘In marcatura su Gullit gioca Fusi'”.
Nell'Inter, Mancini non ha mai potuto prendersi in giro da solo. Non può pensare di essere indispensabile neppure per darsi la carica. Poi gli obiettivi: a Firenze e a Roma aveva due squadre in crisi economica. Qualunque cosa portasse a casa sarebbe stata gradita. Moratti vuole vincere, non vuole vedere altre Villareal. Allora Mancio deve dare una risposta: far capire se dentro è rimasto quello che era da calciatore, quando era fortissimo, ma non il più forte, quando era leader della Sampdoria, ma non riusciva neppure a farsi convocare in Nazionale. Ci sono aneddoti e leggende. Si racconta di Arrigo Sacchi che avrebbe trombato sia lui sia Vialli con il consenso di alcuni giocatori importanti come Maldini e Costacurta. Si dice di un referendum fatto da Arrigo al suo arrivo a Coverciano: “Li volete ancora questi due in squadra?”. No. Però non è stato soltanto Sacchi. Anche con Azeglio Vicini, Roberto non ha avuto spazio. Qualche partita all'Europeo 1988 in Germania, poi più niente. A Italia '90 fu convocato, non giocò un minuto. Al commissario tecnico, qualche anno dopo, ha dato dell'incompetente e del “cieco”. Ha anche detto di essere convinto di non aver giocatore perché era uno della Samp, e non uno di una “società politicamente forte”.
Nemico degli allenatori da giocatore, nemico degli allenatori da allenatore. La carriera in panchina di Mancini è cominciata litigando con i colleghi. Non aveva i titoli per allenare: gli mancava il patentino. Allora minacce di sciopero, annunci di querele, di cause giudiziarie. I colleghi anziani si sono fregati da soli: non lo volevano, ma le loro stupide regole gli hanno permesso di diventare allenatore in pochi giorni. Con vent'anni di serie A alle spalle avrebbe potuto anche non fare il supercorso e l'esame. Le polemiche non sono finite. Per tutti nel 2003 ha parlato Emiliano Mondonico: “I risultati di Mancini nella Lazio sono strani. Qualcuno mi spieghi perché, nelle stesse situazioni societarie, lo scorso anno era tra gli ultimi con la Fiorentina e invece con la Lazio è tra i primi. E' un bel mistero”. Altro nemico, Capello. Ai tempi della Fiorentina, Roberto disse a Fabio: “Sei un maleducato e un presuntuoso”. Quello da lontano e in diretta tv, gli rispose: “Maleducato io? Quanto a maleducazione tu dovresti proprio stare zitto”. E' un po' nervoso, in panchina, Mancini. Anche adesso che è all'Inter: litiga con gli arbitri, con gli assistenti, con i quarti uomini. Ovviamente anche con i colleghi: l'anno scorso alzò la voce con Walter Novellino. Lo accusò di volergli rubare il posto. Era alla fine di una partita fantastica, un Inter-Sampdoria 3-2, vinta con una rimonta fatta negli ultimi cinque minuti. Novellino si presentò in sala stampa ed era una furia. Disse: “Io ho visto una partita dominata da noi e sprecata negli ultimi minuti. Ma francamente non ho visto molti tiri in porta dell'Inter. Mancini dice che ne hanno fatti trenta, io non li ho visti. Poi ho sentito dirgli che nel secondo tempo non abbiamo superato la metà campo. Bè, mi sembra un po' scorretto”. Allora Mancio rispose un po' incazzato: “Lo scorretto semmai è stato Novellino. Aveva detto di sapere come far vincere l'Inter e spiegato che per arrivare allo scudetto ci vorrebbe lui come allenatore. Le montagne io le faccio scalare ad altri”. Walter ascoltò, pronto a un'altra replica: “E' vero, il mio sogno sin da bambino è sempre stato quello di vincere lo scudetto sulla panchina dell'Inter, però non mi sono mai permesso di criticare le scelte e le capacità di un collega, oppure di suggerire a un presidente di ingaggiarmi. Mancini fa scalare le montagne a qualcun altro? Io sono abituato a scalarle a piedi, mentre qualcuno evidentemente usa l'elicottero”. Nella stessa partita un altro litigio. Celebre, pure questo. Mancini contro un tifoso. Mancini che alla fine si alza dalla panchina e invece di esultare si gira verso la tribuna e indica uno spettatore. E adesso dov'è l'infame? Una sfida, un sassolino tolto dalla scarpa: “Ce l'avevo con chi mi aveva provocato, mi aveva urlato contro per tutta la partita, offendendomi e chiedendomi se credevo ancora nello scudetto”. Quel tifoso era un broker della City abbonato da vent'anni e che, ogni domenica in cui l'Inter gioca in casa, arriva a San Siro da Londra per sperare di veder vincere la sua squadra. Gli aveva urlato “dilettante”, gli aveva rinfacciato che invece di far giocare la squadra lui pensava solo ad annodarsi la sciarpa. E poi metteva Emre sulla fascia. Gli aveva urlato di andarsene per far venire Capello. Da uno-due a tre-due. Mancini rosso e tirato in viso, furioso contro quel tifoso gradasso. Capello è in Spagna, Emre se ne è andato, Pizarro anche. Sono arrivati Vieira, Grosso, Ibrahimovic: l'Inter è una squadra, stavolta pare proprio di sì. Mancini è rimasto. Tocca a lui, ora può dare qualche spiegazione: deve dire se è bravo o sopravvalutato, se la fortuna che ha avuto è meritata oppure se gli è arrivata dal cielo gratis, se è preparato o raccomandato, se hanno ragione quelli che davano le colpe a Moratti o quelli che le davano a lui, se è uno di quegli allenatori capaci di incantare come facevano da calciatori o se è un fenomeno in campo che non sa comandare in panchina, se ha coraggio o se è un pavido, se ha preso più da Boskov che ha vinto o da Eriksson che ha quasi sempre perso, se lui è il futuro oppure se è un pezzo di passato con i capelli ancora quasi tutti neri, se hanno ragione quelli che pensano che sia più bravo a mostrarsi con il look giusto in tv o quelli che lo vedono come il prossimo mago del calcio italiano. Il primo che vuole scoprirlo è Massimo Moratti. Il presidente dell'Inter non ha smesso di spendere, probabilmente ha smesso di farsi prendere in giro. Il tifoso broker anche. Ha rifatto l'abbonamento. Sempre alle spalle. Stasera ci sarà: Inter-Roma. E' una barzelletta, però è ancora estate: non c'è bisogno della sciarpa.
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