Il campione espiatorio
Piange Tonino. Piange e tira su col naso. Non si nasconde. Gli hanno detto di tutto: pazzo, guascone, bullo, irriverente, fastidioso, volgare, ignorante, cafone, truzzo, sbruffone, antipatico, coniglio, grasso. Chissenefrega: Tonino piange perché gli hanno tolto il pallone, perché segna e pensa che domani si gioca di nuovo, perché l'Italia passa il turno e vai si torna in campo, e invece no, Antò, hanno fatto il biscotto, si va a casa, come quando in piazza Ferrarese a Bari la gente non ne poteva più di sentire quella maledetta palla sbattere contro la saracinesca e infilava un cacciavite nella camera d'aria: “Uagliò, sciatavinn… Avast”.
Dal Foglio di sabato 9 ottobre 2004.
Piange Tonino. Piange e tira su col naso. Non si nasconde. Gli hanno detto di tutto: pazzo, guascone, bullo, irriverente, fastidioso, volgare, ignorante, cafone, truzzo, sbruffone, antipatico, coniglio, grasso. Chissenefrega: Tonino piange perché gli hanno tolto il pallone, perché segna e pensa che domani si gioca di nuovo, perché l'Italia passa il turno e vai si torna in campo, e invece no, Antò, hanno fatto il biscotto, si va a casa, come quando in piazza Ferrarese a Bari la gente non ne poteva più di sentire quella maledetta palla sbattere contro la saracinesca e infilava un cacciavite nella camera d'aria: “Uagliò, sciatavinn… Avast”. Erano dolci quelle lacrime di Italia-Bulgaria 2004: la corsa impazzita con lo sguardo da Gianburrasca inconsapevole. Mica lo sapeva che c'erano in realtà dei napoletani al posto di svedesi e danesi, che il pacco era stato appena servito, che dei ragazzoni alti biondi e distinti si erano trasformati in topini in sella a un vespino truccato per scippare un paese e uno che di scippi quando era piccolo ne ha visti troppi. Una truffa, quella. Una truffa come le belle parole dei benpensanti dell'ultimo minuto pronti a salire sulle spalle del giovanotto. E vai con la retorica: “Cassano, sei tu il futuro. L'unico a dare l'anima in una Nazionale senza cuore”. Senza palle, pure, diciamolo. Antipatico? Bullo? Volgare? Adesso cambia tutto: “L'unica nota positiva di una comitiva sbrindellata”. “La faccia nuova del calcio italiano”.
L'hanno preso in giro, Antonio. In Portogallo serviva a tutti trovare un'alternativa a Totti lo sputacchione e Vieri lo sputasentenze, quello che “sono più uomo io di tutti voi messi insieme”. L'hanno usato. Tanto non parla e non glielo dice che è troppo comodo così: prima nella polvere, poi sull'altare. Ignoranti loro che neppure hanno letto Manzoni: “…Lui folgorante in solio/vide il mio genio e tacque/quando, con vece assidua/cadde, risorse e giacque/di mille voci al sònito/mista la sua non ha…”. L'autocritica non fa parte di questo mondo. Allora tanto vale vendere altra polvere. Tanta che i tifosi che hanno messo su un sito internet dedicato a lui scrivono una citazione di Scarface: “Siete solo una manica di ciglioni. Sapete perché? Non avete il fegato per stare dove vorreste stare. Voi avete bisogno di gente come me. Vi serve la gente come me, così potete puntare il vostro dito del cazzo e dire: quello è un uomo cattivo. Beh? E dopo come vi sentite? Buoni? Voi non siete buoni, sapete solo nascondervi, solo quello”. Poco raffinati i fan. “E' una risposta al coro che censura sempre Antonio”. Bravi tutti. Applausi. Eccoli: “Il nuovo caso Cassano”. Dai, ancora: “Del Neri lo richiama in panchina e lui protesta”. Un altro: “E' la rottura con la squadra, con l'allenatore, con il pubblico, con la città”. Applausi bis ai signori che mai hanno messo un piede in un campo di calcio, che poi sono gli stessi di Italia-Bulgaria e della nuova maturità, della pulizia delle lacrime, del ma-quanto-è-dolce-con-quella-faccia-triste. Mica lo sanno loro che non c'è differenza: l'allenatore che ti richiama in panchina è come gli svedesi e i danesi, quelli che ti tolgono il pallone sul più bello, mica capiscono che quando lui è là non vede più niente, come i tori che entrano nell'arena. Nessuno dice che Antonio Cassano sia un tipo facile. Troppi, però, dicono che sia un tipo impossibile. Ragazzo, basta. Dovrebbe bastare per tutti perché è vero è un professionista e i professionisti devono comportarsi in un certo modo. Ma professionisti sono pure i voltagabbana che al prossimo gol si metteranno a ripetere come un ritornello stridulo: “E' un fenomeno, questo è il suo anno”. La verità è che con Tonino ci si permette quello che con altri non si può fare. Chi lo tocca Vieri adesso? Si giudica soltanto la prestazione, dicono. Perché la verità è che la prossima volta che qualcuno s'azzarda a mettere il becco negli affari che non c'entrano con un passaggio sbagliato, con un gol mangiato, Bobo lo prende per le orecchie e gli fa il paiolo. Con Cassano no. Il suo silenzio è il lasciapassare all'invettiva, all'insinuazione. Va bene così: con lui hai sempre un titolo. Non giustifica i comportamenti, neppure quelli che alla fine riescono a sdrammatizzare un pallone ingolfato dall'acidità. Come l'anno scorso, quando entrando negli spogliatoi dopo il primo tempo di Roma-Inter scherzò proprio con Vieri fino a strappargli una risata. Ecco i commenti del giorno dopo al siparietto: “Vieri e Cassano scherzano, la partita non gli interessa”, poi “Vieri e Cassano amici. L'anno prossimo giocheranno insieme”. “Cassano va all'Inter”. Se parlasse non andrebbe in questo modo: gli luciderebbero gli scarpini alla sola promessa di averlo una volta soltanto in diretta tv. “Abbiamo il campione del futuro, la stella del calcio italiano: signori in esclusiva Antonio Cassano”. Bello, fa pure rima. Ma lui non fa l'ospite. Alla sua prima intervista vera, Repubblica spedì a Bari in treno Gianni Mura. Tonino non sapeva neppure chi avesse di fronte. La prima domanda fu: ti dispiace se fumo? “Sì, mi dispiace, non sopporto le sigarette”. Se ne compiacerà il ministro Sirchia, ma nessuno lo prenderà mai come testimonial di una campagna contro il tabacco. Perché Antonio Cassano tira soltanto quando sbaglia. Cassanate. Altri applausi agli etichettatori di professione. Veleno. Ha guidato senza patente, ha minacciato Fabio e Mingo di Striscia la Notizia, ha abbandonato gli allenamenti, ha mandato a quel paese la Nazionale Under 21, ha fatto le corna a un arbitro in mondovisione, ha messo un dito nel cappuccino di Batistuta. Ecco i reati da codice penale di Tonino. Ce n'è un altro che nessuno conosce e nessuno ha mai raccontato. Aveva 16 anni, Cassano. L'avevano cercato l'Inter e il Parma, ma non era ancora un calciatore vero. Derby del campionato primavera Bari-Foggia: Tonino segna, poi riceve un fallaccio, l'arbitro non fischia, Tonino si alza e lo spinge. Espulso. Prego, aggiungere alla lista dei peccati. Quella lista che piace tanto e che viene riportata puntualmente per ricordare che non si parla di un Lord. Ogni volta è stato punito, però mai perdonato davvero: “Se non avesse giocato a calcio, sarebbe finito nei guai”. Certo, perché uno che nasce a Bari Vecchia non ha chance: o vince al superenalotto o va in galera. Forse va in galera anche se vince al superenalotto perché “tanti soldi danno alla testa, soprattutto se non hai studiato”. Gli altri miliardari del suo mondo prendono le copertine quando si spupazzano le Veline, le Letterine. Li trovi tutti sulle spiagge e nelle discoteche. Si menano in campo, s'insultano, poi tutti insieme a ballare nel sacro vincolo del gossip e nell'offesa ai tifosi che in nome di quelle rivalità false s'ammazzano pure. Mai beccato Antonio all'uscita di un club. Però lui è quello che rischia di rovinarsi. A 19 anni l'avevano già dato per spacciato: “Farà la fine di Maradona”. L'estate 2004, dopo l'Europeo, in vacanza è andato in un villaggio Valtur in Sicilia. L'hanno dopo a Golfo Aranci, in Sardegna. Nel 2006 anche. Posti normali, senza luci, tranne quelle delle candeline per il suo compleanno, il 12 luglio. Che anche qui c'è tutta l'ipocrisia. “Il predestinato”, gli hanno detto: è nato mentre Paolo Rossi portava l'Italia in Paradiso. Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo. Scusate, ma adesso che gliene può importare ad Antonio che il suo primo pianto era soffocato dalle urla di gioia di un paese intero? Semmai è un'altra sfiga, come quella di nascere in un sottano di un vicolo dimenticato. Avesse fatto il giocatore di bocce, avrebbero detto che nascere il 12 luglio 1982 era la dimostrazione che a lui del calcio non gli sarebbe importato un fico secco: “Ma come, i medici non hanno neppure potuto festeggiare per colpa tua”.
Non si sa perché, ma Antonio Cassano infastidisce. Infastidisce perché nel regno della falsità lui è così spontaneo da sembrare strafottente: se ne frega se lo guardano cinque, sei, sette milioni di persone, e lui dice all'allenatore “aspetta fammi giocare ancora”. Infastidisce perché è nato povero, è diventato ricco e oggi non vuole rinunciare alla sua ricchezza. Infastidisce perché i suoi colleghi più furbi si riducono lo stipendio firmando però contratti a percentuale con gli sponsor, mentre lui dice che “non mi ridurrò mai il mio compenso, non gli ho chiesti io tutti quei soldi”. Infastidisce perché con quella faccia da adolescente brufoloso non fa presa nelle immagini televisive o sui set fotografici. Infastidisce perché in giacca e cravatta non gli piace stare, perché preferisce gli amici di Bari alle serate in vetrina, perché si porta a spasso i cugini disoccupati ai quali dà un lavoro. Infastidisce perché ha blindato la mamma dall'assalto delle telecamere. Infastidisce perché è immarcabile: nasconde la sua vita, come un pallone a un avversario. Quelli che infastidiscono li fanno passare per sbagliati, Antò. Ecco allora il giudizio sempre pronto di coloro che cercano tutti i giorni di fargli raccontare chi è veramente Antonio Cassano e non ci riusciranno. Tonino non ti dirà mai chi è davvero. Perché se c'è una cosa della quale ti convinci crescendo a Bari e nella Città Vecchia è che certe cose si dicono soltanto agli amici e l'amicizia è qualcosa di importante. Una cosa che non si conquista con un taccuino in mano o una telecamera sulla spalla. Ce l'ha la sua etica, il ragazzo, che si traduce nella tutela del suo passato e del suo privato. Fino a quando si andrà a caccia del padre che l'ha abbandonato, fino a che si vorrà entrare nell'intimo di un'infanzia difficile, Cassano resterà un mistero. E allora invece di giudicarlo, Antonio Cassano bisognerebbe soltanto guardarlo e raccontarlo per quello che sa fare su un prato e con un pallone al piede. Tonino è quello del 18 dicembre 1999: colpo di tacco, palleggio di testa, finta, Panucci e Blanc a prendere farfalle, Ferron per terra, il pallone in rete. Poi quelle mani agitate di uno che pensa “mamma che ho combinato”. A 17 anni, ragazzi. Avanti, indietro, stop. Replay, replay e ancora replay. Un gioiello. A Bari ancora se la ricordano quella giocata perché mai si era vista una cosa del genere. Un tifoso l'ha trasformata in una poesia: “Ma tu t'rind cunt d'ci rgal/ a nu gj' si fatt a na sman da natal?/ Antò, ma cudd gol addò u' tniv astpat?/ A Blanc e a Panuccj ci gj' si cmbnat…” (Ma tu ti rendi conto di che regalo/ ci hai fatto a una settimana da Natale?/ Antò, ma quel gol dove ce l'avevi nascosto/ A Blanc e Panucci che gli hai combinato…).
Ce ne saranno ancora di colpi di tacco, di finte, pallonetti, veroniche, dribbling. Incanto. Ci sono già stati altri di gol come quello alla Bulgaria. Li abbiamo visti prima che tornasse un altro caso e sentissimo di nuovo che era ingovernabile che “doveva andare via da Roma perché quell'ambiente non fa per lui, dovrebbe andare a Milano o a Torino, lì sì che gli addrizzerebbero le ossa. Neppure Madrid è il posto giusto”. Sono le stesse cose che si sentivano proprio quando cominciò a diventare qualcuno. Allora era Bari che non andava bene. “Conosce troppo la città, è troppo in vista, si perderà”. L'unico risultato fu che tutto il clamore lo caricò di una responsabilità difficile da sopportare a 18 anni. Era una squadra condannata a perdere, retrocessa già prima di cominciare il campionato. Finì che il tormentone sulla cessione di Tonino assorbì tutto quanto. Certo, fu una roba grossa: 55 miliardi al Bari, 36 a lui per sei anni, il diciottenne più pagato nella storia del calcio. Quello di Cassano è stato l'ultimo affare della scia folle e perversa del pallone italiano della fine dei 90 e l'inizio del 2000. Quando finì quel maledetto campionato, per lui fu un sollievo. Oggi a Bari Tonino è tornato un idolo. E' finito anche in uno spot della campagna elettorale del neo-sindaco Michele Emiliano: “Metti a Cassano”, “Oh, u' vuè mett' a Cassan”, invito contemporaneo a Trapattoni a farlo giocare titolare in Nazionale e all'elettore barese a votare l'ex pm diventato politico. Allora no: era troppo complicato per un giovane tenere il passo delle polemiche. La curva del Bari lo fischiava: come se tua madre ti voltasse le spalle. Così una volta a Parma dopo una sconfitta per 5 a 0 Tonino pianse. Doveva andare al raduno dell'Under 21 quando ancora con Gentile filava tutto liscio. Cassano sapeva già d'essere della Roma. Sapeva e taceva. In una macchina con due dirigenti baresi nel tragitto dallo stadio alla stazione si sfogò: “Ma perché se la prendono tutti con me? Che devo fare io. Sono solo un ragazzo”. Ma questo non fa scena. Umano? Meglio quello sfacciato. Quello che dice “Farò 20 gol. Arriverò in Nazionale”. “Non ho paura di niente, ho conosciuto la povertà. Non c'è nulla che mi possa spaventare”, “C'è molta gente che si vuole fare pubblicità utilizzando me”, “A me, nessuno mi ha mai detto di essere una riserva”; “Tra due anni sarò Pallone d'Oro”. Quelle rare volte che parla, Tonino dice quello che pensa. Che in teoria sarebbe quello che tutti vorrebbero sentire da lui. In teoria. Poi le racconta e ogni cosa che dice gli si ritorce contro. Fai attenzione: qualunque cosa tu dica potrebbe essere usata contro di te. Proprio quando segnò il suo primo gol in A contro l'Inter arrivò in sala stampa e disse: “Una serata magnifica, peccato solo per alcune cose che sono successe”. E che è successo, Antonio? “No, niente è che alcuni giocatori dell'Inter mi hanno detto delle cose molto spiacevoli”. Fermi tutti. Il giorno dopo la colpa era sua: “E' un ragazzo, si deve abituare, queste cose nel calcio succedono”. Giusto. Però non vale per tutti. Non vale per Tonino-il-ragazzaccio-di-Bari-Vecchia. L'anno dopo lo scherzetto lo fece lui che irriverì un avversario con un tunnel, poi tornando indietro gli disse: “Hai lo stesso vizio di tua madre, hai sempre le gambe aperte”. Ecco la differenza tra lui e gli altri: le sue frasi fastidiose vengono fuori, quelle degli altri no. E va bene che lui era un giovanotto e si deve avere rispetto per i più grandi, ma la legge dovrebbe essere uguale per tutti. Per Tonino è più uguale. Così a Roma hanno contestato l'uscita dal campo contro l'Inter: era malato. Hanno dubitato persino su un attacco di febbre. Qualche settimana dopo, poi, al suo esordio nella nuova stagione, ancora una volta. Cassano mette una mano in faccia a Chiellini della Fiorentina: espulso. Sacrosanto. Però l'indomani era “l'ultimo colpo di testa”, “un comportamento folle”. Un'altra cassanata. Come se tutte le domeniche Antonio il topino si mettesse non soltanto a battibeccare con l'allenatore, ma anche a scalciare, a sgomitare, a sputare agli avversari. Dispiace, ma non è così. Numeri: stagione 2003-2004, 33 presenze su 34 partite, 14 gol, 2 ammonizioni. Espulsioni? Zero. Non c'è il dato dei falli subiti. Neppure quello del grado di godimento provocato agli amanti del pallone. Peccato. Ah, sì, ma tanto il calcio qui non c'entra niente. E' il tiro al bersaglio: un altro sport. E' il gioco della bella la tribù degli anti-Cassano. Commedianti travestiti da giornalisti, salottieri di serie B, pseudo-intellettuali con maglia della salute e forfora sul bavero della giacca. E' un'allegra compagnia di briganti e sedicenti competenti. Non è bastato che Antonio Cassano se ne sia andato. Perché alla fine è successo: via da Roma. Madrid, il Real. Continuano a parlarne male, sono sempre più cattivi. Tonino è grasso, ma entra in campo per la prima volta con la maglia del Real Madrid e segna il gol decisivo. Un'ancata da smaliziato, un mezzo fallo al portiere, stop di petto e gol. Poi una corsa felice verso Zidane. Dietro di lui, tutti i compagni a stringerlo, coccolarlo, stritolarlo. Ai nemici di Tonino il sangue ha cominciato a bollire nelle vene e dal pulpito di trasmissioni televisive hanno ripreso a insultarlo. C'è qualcuno che ne ha parlato come del cancro estirpato da Roma, c'è chi ha esordito dicendo che adesso la sua ex squadra finalmente s'è tolta un peso. Anche lui gode, tranquilli. Gioca nel club più importante del mondo e in tre minuti è diventato uno degno di indossarne la maglia. Guadagna tanto, più di quanto potesse sperare nella squadra che l'ha venduto, la quale dovrà accendere un cero a Sant'Antonio da Bari se riuscirà a iscriversi al prossimo campionato. Perché Tonino ai suoi ex padroni ha lasciato i 5,5 milioni che ha pagato i Real per averlo e una mancia da 1,9 milioni di euri. Soldi suoi, soldi che la Roma gli doveva e che lui ha donato. Un signore. Quello che non sono i componenti della combriccola dei suoi feroci e vigliacchi detrattori. Vigliacchi perché non lo attaccano mai di persona: se accettasse di presenziare a una delle trasmissioni dalle quali partono le invettive, nessuno si permetterebbe di criticarlo. Tutti sarebbero pronti a incensarlo, come fanno con chiunque si sieda al salotto televisivo accanto a loro. Pagherebbero per avere un'intervista con lui o per incontrarlo e raccontare la sua storia. Qualcuno dei suoi denigratori c'ha anche provato, ma gli è andata male. E ora sparge veleno gratuito. Perché tutto questo livore? Perché criticarlo anche adesso? Che ha fatto Cassano? Servirebbe una risposta. Lo accusano di aver rotto lo spogliatoio della Roma, ma mai la tribù s'è chiesta quale sia la sua versione. A Cassano non gli si concede alcun dubbio. “Ha litigato con Totti perché è invidioso”. Ma qualcuno gli ha chiesto il motivo del litigio? No. S'immagina. E qualcuno ha mai pensato che magari la Roma ha voluto screditarlo nei confronti del pubblico? Non sia mai. Pensare è un gran lavoro giornalistico. Molto meglio trasformarsi in facili giudici e dire che Cassano s'è montato la testa, che è il diavolo, che è un disadattato presuntuoso. C'hanno mai parlato? No. Ingolfano palinsesti, fanno i buffoni in trasmissioni d'intrattenimento pomeridiano domenicale e poi pretendono di essere credibili. Gettano fango nel ventilatore, spargono bugie, come quella di chi ha continuato a ripetere che a Roma prendeva 3,2 milioni all'anno: ha sbagliato solo seicentomila euri, visto che l'ingaggio era di 5 miliardi di lire.
Cassano disturba ancora. Gli rinfacciano la fortuna e il talento, come se entrambi fossero una colpa. Guadagna tanto perché c'è qualcuno che questi soldi glieli dà e lui fa bene a prenderli. Si chiama libero mercato. E poi gli amici della tribù vanno gratis in tv a parlar male di lui? No. E se Cassano andrà tornerà a essere qualcuno, saranno tutti pronti a salire sul suo carro come hanno fatto all'Europeo 2004. Tonino non ha studiato, ma è intelligente: farà come col portiere del Betis, darà un'ancata anche a loro. Prima di fare gol.
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