Il cardinal Martini e le "buone idee" di Lutero per il Concilio
Il cuore della notte è l'inizio del giorno, e il cardinal Carlo Maria Martini ha trovato un bellissimo titolo per il suo ultimo libro; “Jerusalemer Nachtgespräche” (“Colloqui notturni gerosolimitani”, sottotitolo: “Sul rischio di credere”. Scritto a quattro mani col gesuita viennese Georg Sporschill, per l'editore tedesco Herder, è una riflessione a tutto campo sul cristianesimo e il senso della vita, sulla missione della chiesa e il celibato ecclesiastico, su come recuperare l'energia dei giovani, in una società minata dall'indifferenza e dal materialismo.
Roma. Il cuore della notte è l'inizio del giorno, e il cardinal Carlo Maria Martini ha trovato un bellissimo titolo per il suo ultimo libro; “Jerusalemer Nachtgespräche” (“Colloqui notturni gerosolimitani”, sottotitolo: “Sul rischio di credere”. Scritto a quattro mani col gesuita viennese Georg Sporschill, per l'editore tedesco Herder, è una riflessione a tutto campo sul cristianesimo e il senso della vita, sulla missione della chiesa e il celibato ecclesiastico, su come recuperare l'energia dei giovani, in una società minata dall'indifferenza e dal materialismo. La forma è quella di un'intensa e sofferta intervista, dove la biografia insegue la teologia, la dottrina della chiesa rincorre le sacre scritture.
E infatti, il riformatore di Santa Romana Chiesa, il gesuita già cardinale di Milano, da molti considerato l'antipapa, strizza l'occhio al principe della Riforma protestante, Martin Lutero, invocando un rinnovamento ecumenico a sfondo biblico. Martini, infatti, è innanzitutto l'esperto biblista che dopo aver scelto di finire i suoi giorni a Gerusalemme, patria dello spirito, “per ritrovare le orme di Gesù”, e aver scelto Parigi per presentare le sue glosse al “Gesù di Nazaret” di Papa Ratzinger, sceglie adesso il tedesco per consegnarci il suo testamento spirituale. In tedesco parla di Lutero, “il più grande riformatore, cui l'amore per le Sacre Scritture ispirò buone idee”; e anche se considera “problematico” il fatto che Lutero abbia “tratto da riforme e ideali necessari un sistema proprio”, Martini riconosce che la chiesa contemporanea “se ne è lasciata ispirare per dar corso al processo di rinnovamento del Concilio Vaticano II, dischiudendo per la prima volta ai cattolici il tesoro della Bibbia su basi più larghe”. E insiste sul nuovo rapporto col mondo, giudicando “il movimento ecumenico una conseguenza della Riforma” sino a rivendicare l'esegesi biblica come elemento chiave della rievangelizzazione che la chiesa è chiamata ad affrontare. Parla infatti di David e Betsabea, di Saul e di re Salomone, ma anche di Luca e di Giovanni, per suffragare il coraggio della fede in Dio e della divina missione umana redentrice, mettendo sullo stesso piano Vecchio e Nuovo Testamento. E dal Vecchio riesuma la vicenda del re che sconfitto Golia, ruba la moglie del suo amico, e viene punito da Dio, con la nascita di un primo figlio nato morto, salvo poi imparare dai propri errori, ravvedersi dalle proprie debolezze, superando le sconfitte, le avversità della vita, senza badare alle ferite sofferte, pur di adempiere alla missione divina.
Così come non separa nettamente tra Vecchio e Nuovo Testamento, Martini non scava trincee nemmeno tra giudaismo, cristianesimo e islam. La Bibbia infatti insegna che “Dio è uno solo, e ama i nemici, soccorre i deboli, e vuole che noi aiutiamo e serviamo tutti gli uomini, anche se lo fa attraverso percorsi diversi”. Il cardinale dunque predica la grandezza del Dio unico, e “l'apertura” del mondo cattolico, e parla di conflitto di civiltà, ma solo per insistere sulla possibilità di neutralizzarlo. “Molti dicono che i musulamani sono per la guerra Santa e vorrebbero chi più chi meno convertirci tutti con la forza, ma nel Corano di questo non c'è traccia”. E ancora, insiste Martini: “Dio non riconosce i limiti e le divisioni costruite dagli uomini, è molto più grande, non se ne lascia addomesticare e nemmeno condizionare”.
La sua, dunque, è una riflessione affidata a domande ficcanti e risposte spesso sconcertanti, dove la ricerca di Dio si confonde spesso nel mistero della sua assenza o della sua indifferenza; e l'esercizio della pratica religiosa lascia volentieri spazio all'autobiografia – memorabili le pagine sul giovane allievo al collegio dei gesuiti di Torino e le virtù spirituali degli Esercizi di Sant'Ignazio di Loyala – come canone di una giusta pedagogia. Suddiviso in sette capitoli, come i giorni della creazione, nel libro il cardinal Martini risponde all'amico viennese parlando a ruota libera di senso della vita e di coraggio, di conquista dell'amicizia e di cultura dell'amore, di unicità di un legame sprituale e liberazione sessuale, ma anche di celibato ecclesiastico e dottrina cattolica in materia di anticoncezionali.
Il tutto s'apre con una doppia avvertenza. Il cardinale racconta l'incontro con padre Sporschill, fondatore di una rete di solidarietà per i ragazzi di strada in Romania e Moldavia, di cui aveva sentito parlare da anni e conosceva il saggio sulle risposte ai giovani tratte dalla teologia di Karl Rahner, il gesuita successore nella cattedra di Romano Guardini alla Ludwig Maximillians Universität di Monaco (la stessa tenuta oggi dal francese Rémi Brague) e protagonista con le sue tesi progressiste della salvezza universale, e dei “cristiani anonimi” del rinnovamento che portò al Concilio Vaticano II. Sporschill, dal canto suo, evoca la natura accidentale del progetto. “Me ne stavo seduto sotto le palme nel giardino dell'Istituto biblico, per scrivere una Guida alla Bibbia per i leader, e ogni giorno incontravo l'ex cardinale, che lavorava al commento del libro del Papa su Gesù. Scoprimmo di trovarci sullo stesso fronte nella battaglia contro l'ingiustizia, pronti a dialogare sui percorsi della fede nell'epoca dell'incertezza”. Da qui l'idea di un libro a partire da domande elementari: come si rivolge a chi non crede? “Gli chiedo quali sono i suoi valori, i suoi ideali” risponde il cardinale. E perché lei crede in Dio? “Perché è buono ed è la cosa più facile e importante della vita,” replica Martini, “anche se a lungo mi son chiesto perché abbia fatto soffrire Cristo suo figlio, facendolo morire sulla croce”. La risposta, l'ha trovata molto dopo. “Senza il dolore, senza la morte, non saremmo in grado di affidarci a Dio, di nutrire la speranza”. E allora, insiste Sporschill, cosa chiederebbe a Gesù, se avesse la possibilità? “Una volta gli avrei chiesto idee migliori, un amore più forte, un coraggio più grande. Adesso gli chiederei solo di accogliermi, di tenermi per mano, di aiutarmi a superare la paura, e non lasciarmi solo”.
Il Foglio sportivo - in corpore sano