Dal Foglio del 23 maggio
Il tosto Chiampa
Oggi al Pirellone, a Milano, nella sede della regione Lombardia doverosamente offerta dalla giunta di centrodestra, il Pd terrà la riunione del governo ombra. La linea veltroniana continuerà sui suoi binari: al centro un elemento decisivo (la rinuncia allo scontro ideologico contro il berlusconismo) che determina una nuova positiva situazione politica, a fianco il pasticcionismo tradizionale dell'ex sindaco di Roma.
Oggi al Pirellone, a Milano, nella sede della regione Lombardia doverosamente offerta dalla giunta di centrodestra, il Pd terrà la riunione del governo ombra. La linea veltroniana continuerà sui suoi binari: al centro un elemento decisivo (la rinuncia allo scontro ideologico contro il berlusconismo) che determina una nuova positiva situazione politica, a fianco il pasticcionismo tradizionale dell'ex sindaco di Roma. Al di là di parole, mosse giuste e mosse furbe del “leader”, saranno interessanti gli equilibri di forza e gli interessi concreti che il governo ombra rappresenterà. Una sorta di tregua armata è stata stabilita con Massimo D'Alema, che al di là dei rapporti stiracchiati con Pierluigi Bersani, conta su due fedelissimi: Marco Minniti, che da subito si dimostra efficiente (e colloquiante) “ombra” di Roberto Maroni, e il più defilato Michele Ventura, l'unico toscano (a parte Letta e la ripescata Beatrice Magnolfi) nel governo ombra, mentre il già potente rivale Vannino Chiti ha il ruolo notabilare di vicepresidente del Senato. Al di là di Piero Fassino, naturalmente di Bersani (con contorno di ministra ombra ombra ds-modenese, Mariangela Bastico), pesa Roberta Pinotti (fassiniana) e Vittoria Franco, storica militante Pci, il cui ruolo oggi è essenzialmente tenere lontano da Veltroni le dalemian-petulanti Barbara Pollastrini e Livia Turco. Su Andrea Martella – galletto d'allevamento postcomunista – faremo alcune considerazioni in seguito. Così come su Sergio Chiamparino. Tutto sommato gli ex Pci-Pds-Ds formano l'ossatura fondamentale del governo ombra. Assieme a loro ci sono i “romani”, uniti dai legami con le ex amministrazioni di sinistra della capitale al di là delle “appartenenze” (Linda Lanzillotta, Ermete Realacci, Giovanna Melandri, Maria Pia Garavaglia, e più o meno della “banda” è anche Vincenzo Cerami). Il resto è contorno (i campani Pina Picierno e Alfonso Cardia, che servono solo a testimoniare che Veltroni non vuole avere con sé un bassoliniano neanche dipinto: mentre con quei traditori degli elettori siciliani il conto è regolato con l'elezione a capogruppo del Senato della sempre più ex dalemiana Anna Finocchiaro), i figli di industriali (Maria Paola Merloni e Matteo Colaninno, vero e proprio ambasciatore veltroniano con Emma Marcegaglia, che sarà sempre più coccolata). Forse di maggior peso è la scelta di Lanfranco Tenaglia, ex magistrato, ex margheritico, non scatenato giustizialista, ministro ombra nel settore chiave della giustizia, e naturalmente quella di Enrico Letta allo strategico ministero ombra del Welfare.
Le condizioni del dialogo (con la Cisl)
Come si diceva il governo ombra nasce anche dalla nostalgia veltroniana per il sistema di potere romano così largamente rappresentato, il cui smantellamento si tenterà di ritardare o limitare contando sulle trattative tra Goffredo Bettini e Gianni Alemanno (e sul piano più generale con Gianni Letta). Condizioni di dialogo necessario che forniscono e definiscono una prima base abbastanza solida per i rapporti tra centrodestra e centrosinistra. La partita cooperative e potere legato alle regioni rosse è affidata a Bersani e Martella, erede della tradizione veneta dei Cesare De Piccoli e Gianni Pellicani (grande e raffinato politico veneziano) che nel Pci si occupavano anche molto delle questioni per così dire più materiali. Nei colloqui tra ministro “reale” Altero Matteoli e quello ombra alle Infrastrutture, Martella, il ruolo delle grandi cooperative emiliane (in parte giustamente) non sarà trascurato. Ma se devo dire quale è la vera novità del governo ombra, questa è l'incarico un po' sorprendente (non è neanche un parlamentare e ha un sacco da fare come sindaco) a Chiamparino: innanzi tutto perché sulle riforme la trattativa tra governo e opposizione sarà più precisa, trasparente e soprattutto stringente. Forse si decideranno insieme veramente alcune cose, e tra queste ci potrebbero essere le basi per un federalismo fiscale che modificherebbe profondamente il potere italiano. Chiamare a questo ruolo uno tosto come il Chiampa, assai popolare, legato a quei rompicoglioni degli amministratori democratici del nord (da Massimo Cacciari a Filippo Penati e, in parte, a Sergio Cofferati) significa fare una scelta di potere interno che in piccolissima misura ha anche a che fare con i rapporti con gli ultimi dei fassiniani (tutti più o meno spompati come il loro leader) chiamati a contenere i dalemiani, e molto di più con quei legami che il sindaco di Torino efficacemente rappresenta: cioè con il mondo Fiat e il peso che questo mondo e più in generale il capoluogo piemontese hanno in un'Intesa Sanpaolo dove vacilla il potere bazoliano. Proprio “i legami” del Chiampa spiegano l'altra scelta di affidare un settore delicatissimo, il welfare, a Enrico Letta: il che significa, alla fine, cercare di privilegiare il dialogo con la Cisl rispetto a una sempre più evanescente e disgregata Cgil. Certo, anche per limitare lo spazio di manovra del governo, ma soprattutto per lavorare in sintonia con una Fiat che non ne può più dei capricci della Fiom e che per potere sperare in una ripresa di lungo periodo ha bisogno di un sindacato cooperativo. Non credo sia necessario spiegare ulteriormente come le dinamiche torinesi e cisline ora analizzate pongano anche queste basi per il dialogo tra governo e opposizione. Tutto sommato la linea di marcia del governo ombra pare avere dunque coordinate positive, che certo avrebbero bisogno di un leader meno evanescente. Ma nessuno è perfetto.
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