Eppure è l'intelligenza fatta città

Napoli, fatti viva sennò sei molto morta

Giuliano Ferrara

Se fossi napoletano mi vergognerei di me. Non tanto per i rifiuti, per la trasandatezza fatale della città, per la brutta figura eccetera. Napoli ha sempre scambiato con il resto del mondo, che la voleva scioccamente sorridente, un suo ghigno indecoroso che mi piace, che affascina ed è regale anche quando è laido, puzzolente. Mi vergognerei piuttosto per la totale assenza di una classe dirigente e per l'indulgenza con cui la città accetta di essere trattata, in mancanza di alternative, come una appendice coloniale fastidiosa e riottosa.

Lettori del Foglio on line, che ne pensate? Dite la vostra su Hyde Park Corner.

    Se fossi napoletano mi vergognerei di me. Non tanto per i rifiuti, per la trasandatezza fatale della città, per la brutta figura eccetera. Napoli ha sempre scambiato con il resto del mondo, che la voleva scioccamente sorridente, un suo ghigno indecoroso che mi piace, che affascina ed è regale anche quando è laido, puzzolente. Mi vergognerei piuttosto per la totale assenza di una classe dirigente e per l'indulgenza con cui la città accetta di essere trattata, in mancanza di alternative, come una appendice coloniale fastidiosa e riottosa. I ministri arrivano in pullman, il governo è in visita all'estero, la conferenza stampa si farà nel palazzo dei Borboni, i proconsoli di lingua endogena abitano i loro appartamenti regionali e municipali ma sono virtualmente esclusi dalla vita pubblica, inabilitati anche alle campagne elettorali, il governo decide per via commissariale da dieci, quindici anni, e non risolve alcunché, adesso si è lodevolmente messo in testa di farla finita, attrezza soluzioni che deve militarizzare, le tiene segrete fin che può, poi giù un po' di botte contro la ribellione della monnezza.
    Uno si domanda: ma c'è a buon bisogno un napoletano di grido, uno straccio di scrittore, di professionista, di magistrato, di accademico, un capopopolo, un filosofo, un armatore, un poliziotto, un magistrato, un calciatore, un bandito, un giornale, un ex prefetto, una lega di donne, un sindacato, una comunità religiosa, un prete, un cristiano come tanti che sappia prendere in mano, non la città, certo, che è fuori controllo da secoli, ma almeno il discorso sulla città? C'è qualcuno che sia in grado di dare un qualunque significato a quello che succede? Questo è l'impudico disastro di Napoli, inquietante e osceno, non il fatto che non si risolvano i problemi, bensì il fatto che la città ha perso la voce, non fa più nemmeno rumore, trasmette l'onda piatta e decerebrata della morte urbana, della fine della fantasia, pure quella in discarica come tutto.
    Eppure Napoli è l'intelligenza fatta città. Da sempre è così che ne conosciamo e onoriamo la bellezza, la prestanza culturale, l'ambizione piena di smagata capacità di affabulazione, di persuasione, tutti sempre convinti, edotti, fatti furbi e anche fessi dal Gran Signore Napoletano charmant capace di spiegare l'inspiegabile. Napoli è una delle grandi anime di questo paese, un suo profilo liberale e borghese e giacobino ma anche aristocratico e schiettamente reazionario, ma sempre ben intagliato nel fiume della parola napoletana, e davvero se quell'anima dovesse rivelarsi mortale il declino del corpo nazionale che la contiene e nutre sarebbe senza speranza.
    Cercasi napoletano o gruppo napoletano in grado di spiegare come mai quella è l'unica area urbana al mondo in cui non si riesce a smaltire la spazzatura. Accettasi ogni tipo di spiegazione, anche irridente, surreale, provocatoria, purché si interrompa un lungo e sinistro silenzio. Non tollerasi che tutto finisca con grevi scazzottate con la polizia di don Silvio Berlusconi intorno a dei buchi dove ricoverare le deiezioni della città. Napoli si faccia viva, sennò è molto morta.

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    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.