Kyoto come il simbolo dell'anti americanismo

"Stiamo freschi" / 2

Piero Vietti

Una delle basi da cui Lomborg è partito è il Copenaghen Consensus, un progetto che lui stesso spiega così: “Abbiamo domandato ad alcuni dei più autorevoli economisti a livello mondiale dove sarebbe stato possibile ottenere più in fretta i migliori risultati avendo a disposizione strumenti straordinari. Per ogni problema, abbiamo pregato gli esperti di proporre le migliori soluzioni. Per il riscaldamento globale avrebbero potuto essere la tassa sull'anidride carbonica o il protocollo di Kyoto”.

    Una delle basi da cui Lomborg è partito è il Copenaghen Consensus, un progetto che lui stesso spiega così: “Abbiamo domandato ad alcuni dei più autorevoli economisti a livello mondiale dove sarebbe stato possibile ottenere più in fretta i migliori risultati avendo a disposizione strumenti straordinari. Per ogni problema, abbiamo pregato gli esperti di proporre le migliori soluzioni. Per il riscaldamento globale avrebbero potuto essere la tassa sull'anidride carbonica o il protocollo di Kyoto”. Il gruppo di economisti ha così redatto la prima lista mai compilata delle “priorità globali”. La sorpresa è che la soluzione del riscaldamento globale è all'ultimo posto, rubricata sotto il titolo “cattive probabilità”. Non essendo però gli economisti a guidare il mondo, Lomborg ha fatto le stesse domande ai “leader del futuro, brillanti studenti di ottanta università di tutto il mondo, per il settanta per cento appartenenti a paesi in via di sviluppo”. Il risultato è stato lo stesso.
    Nel mondo però ottengono ascolto (e fondi) solo gli scienziati che sostengono la teoria catastrofista delle conseguenze da riscaldamento globale. E qui Lomborg lancia un atto d'accusa innanzitutto deontologico ai colleghi scienziati: citando un altro noto climatologo scettico, Richard Lindzen, ricorda che “gli scienziati che si sono dissociati dall'allarmismo hanno visto i fondi per la ricerca sparire e il loro lavoro venire deriso, e sono stati diffamati come tirapiedi dell'industria, scienziati da strapazzo o peggio. Quindi le menzogne sui cambiamenti climatici hanno credito anche quando cozzano contro la scienza che dovrebbe esserne alla base”. Analizzando infatti i dati in possesso dello stesso Ipcc e di molti climatologi nel mondo, appare evidente come le conclusioni catastrofiste siano il frutto di una lettura deviata, a tratti ideologica, degli stessi dati. E' anche vero però che nell'ultimo periodo molti scienziati si stanno rendendo conto di “aver creato un mostro” e stanno correggendo il tiro e abbassando i toni apocalittici, anche se chi si è costruito una carriera sull'allarmismo continua a svicolare: interrogato dagli scettici, Al Gore è solito rispondere in questo modo: “Il quindici per cento della gente crede che l'atterraggio sulla Luna sia stato girato su un set in Arizona e una percentuale appena inferiore crede ancora che la Terra sia piatta. Potrebbero riunirsi tutti un sabato sera, insieme con quelli che negano il riscaldamento globale, e festeggiare”. Appare fin troppo chiaro quanto sia difficile il dialogo che Lomborg auspica, ma la tesi del suo libro è che con un approccio più realista in futuro si potrebbero spendere molti meno soldi e risolvere problemi più gravi dell'aumento dell'anidride carbonica nell'aria. “Apprezzo il sotteso intento di aiutare l'umanità, ma l'incrollabile certezza che le riduzioni di anidride carbonica siano il modo migliore per farlo è problematica” scrive Biørn Lomborg in uno degli ultimi capitoli di “Stiamo freschi”. Con un paragone efficace qualche pagina dopo Lomborg spiega che circa il 90 per cento degli incidenti stradali mortali si verifica nei paesi del Terzo mondo e che si è calcolato che tra quindici anni questo tipo di incidenti sarà la seconda causa di morte al mondo. “Nel giro di ventiquattro ore”, dice lo scienziato, “potremmo salvare 1,2 milioni di vite umane, eliminare 500 miliardi di dollari di danni e impedire che milioni di uccelli rimangano uccisi dalle automobili ogni anno, e così facendo si rimedierebbe a una piaga che colpisce in primo luogo i paesi del Terzo mondo”. Basterebbe infatti abbassare i limiti di velocità a cinque chilometri orari: non morirebbe più nessuno. Ha senso? Lo faremo?, si chiede Lomborg. Ovviamente no: il rapporto tra i benefici del viaggiare velocemente e i costi in vite umane ci appare sproporzionato. Il ragionamento da fare sull'utilità dell'applicazione del protocollo di Kyoto (o simili misure) per risolvere l'aumento della temperatura è lo stesso.
    Lomborg dice senza giri di parole che l'applicazione di Kyoto o di un'eventuale Kyoto II (come la maggioranza degli intervenuti alla conferenza internazionale sull'ambiente svoltasi a Bali pochi mesi fa chiedeva con insistenza) è dannosa oltre che inutile. Anche lui critica la non sottoscrizione del trattato da parte di Bush, ma solo perché se gli Stati Uniti si fossero uniti agli altri firmatari “sarebbe stato molto più evidente che il trattato non avrebbe mai funzionato”. Invece così Kyoto è diventato simbolo di opposizione all'America rimanendo in vita più del dovuto proprio per via di questa sua funzione simbolica. Per certi versi il documento ha assunto autorevolezza in certi ambienti proprio perché l'America non lo voleva. Peccato che nessuno si sia nel frattempo accorto, dice Lomborg, che “Kyoto si propone di cambiare in quindici anni modelli energetici centenari, finendo per costare una fortuna e non produrre praticamente nulla”. Cosa che militanti ambientalisti come Al Gore continuano a non ammettere senza dare risposte dirette, ma controattacando gli interlocutori con la tesi che “molte delle organizzazioni che pubblicano ricerche in cui si mettono in dubbio gli effetti del riscaldamento globale sono finanziate dai peggiori inquinatori”.
    Fatto sta che man mano aumenta il numero di queste ricerche, che ad esempio dimostrano come il tanto temuto aumento del livello dei mari di parecchi metri nel giro di pochi anni per via dello scioglimento dei ghiacciai è in realtà valutabile in un massimo di trenta centimetri in cento anni: lo stesso aumento dei precedenti centocinquanta. E' vero che “il dibattito sul global warming è un dibattito sulla nostra missione generazionale” come dice il già citato ex vicepresidente americano, conclude Lomborg, ma nel senso che costringe a questa domanda. “In pratica, che cosa vogliamo realizzare nei prossimi quarant'anni?”. L'autore di “Stiamo freschi” non ha dubbi: la soluzione di piaghe come l'Hiv, la malaria, la mancanza di risorse idriche, la fame nei paesi in via di sviluppo sono risolvibili in tempi brevi e porterebbero vantaggi economici e di vite umane salvate tali per cui a quel punto si avrebbero strumenti, sviluppo e capacità per contenere i danni che deriveranno dai cambiamenti per riscaldamento globale. Cambiamenti che comunque non saranno mai come quelli agitati da tanta scienza catastrofista e che al massimo sarebbero posticipati di qualche anno appena con la diminuzione delle emissioni gassose. Senza tenere conto che sarebbero in linea con i molti cambiamenti già avvenuti nella storia. Tanto che, nota con ironia Lomborg, “se chiediamo a una persona molto anziana di ricordare i fatti più importanti accaduti nel XX secolo, probabilmente citerà i due conflitti mondiali, la Guerra fredda e forse la rivoluzione informatica, ma è alquanto improbabile che aggiunga: ‘Ah, e l'aumento del livello del mare…'”. (2.fine)

    Torna alla prima parte.

    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.