Biggeri in transizione tra un governo e l'altro

Dare i numeri in Italia fa uscire pazzi. Ecco il rapporto Istat

Stefano Cingolani

Questa volta Luigi Biggeri si dichiara ottimista (“prudentemente”, sia chiaro) perché vede segnali di nuovo dinamismo, soprattutto nel made in Italy, cioè l'industria che esporta e ha saputo ristrutturarsi. Il sedicesimo rapporto Istat, presentato ieri, parla di “ripresa”. Parola grossa, subito temperata da espressioni come “la via è accidentata” o “è urgente vedere gli ostacoli”.

    Roma. Questa volta Luigi Biggeri si dichiara ottimista (“prudentemente”, sia chiaro) perché vede segnali di nuovo dinamismo, soprattutto nel made in Italy, cioè l'industria che esporta e ha saputo ristrutturarsi. Il sedicesimo rapporto Istat, presentato ieri, parla di “ripresa”. Parola grossa, subito temperata da espressioni come “la via è accidentata” o “è urgente vedere gli ostacoli”. Sabato sapremo dalla Banca d'Italia se questi spot luminosi, collocati soprattutto nel nord, riusciranno a rischiarare il paese o sono fuochi fatui. Spetterà a Mario Draghi, insomma, dare un sostegno o smentire il cauto Biggeri. Per non farsi prendere troppo in castagna, il presidente dell'Istituto di statistica ha messo cento volte le mani avanti: “Nel paese coesistono realtà economiche e sociali solide e avanzate, ma anche aree deboli e vulnerabili”. E ancora: “Si avverte un senso di incertezza, ma anche di movimento; un senso di agitazione, ma non una direzione definita”. C'è un nord che continua a tirare, ma anche un sud che frena. C'è la disoccupazione che diminuisce, ma anche la precarietà che aumenta. Biggeri è uno stimato tecnico, però la statistica in Italia molto spesso è un'opinione. Siamo l'unico paese, del resto, ad avere due indici paralleli per l'inflazione, quella ufficiale e quella percepita. Insomma, luci e ombre. Come la vita. Il bilancio pubblico è migliorato (torna il mitico avanzo primario), però è salita anche la pressione fiscale. Tendono a stabilizzarsi gli immigrati (sono tre milioni e mezzo gli stranieri residenti, oltre la metà al nord che attira di nuovo anche forza lavoro dal Mezzogiorno). Di per sé non hanno provocato un aumento della criminalità. Tuttavia tra gli irregolari aumenta la delinquenza. La questione salariale, infine, è un'altra vexata quaestio analitica e politica. Le retribuzioni orarie sono cresciute più che in altri paesi europei, però il livello medio resta troppo basso: metà delle famiglie vive con 1.900 euro al mese.
    Possiamo sottrarci al gioco delle ombre statistiche? Non è facile. Si sa che l'anno scorso il prodotto interno lordo è aumentato solo dell'1,8 per cento meno della media europea. Nel quarto trimestre la crescita è andata sotto zero (-0,4) e nel primo di quest'anno è salita poco sopra (+0,2). Insomma, dentro un quadro di stagnazione, gli statistici hanno individuato un rimbalzo. Durerà? Le indagini sulla produzione industriale sollevano molti dubbi, però bisogna disaggregare gli indici medi. L'export va forte. Già l'anno scorso le merci vendute fuori dall'area euro sono aumentate del 10 per cento. Nonostante la rivalutazione della moneta europea, abbiamo tenuto la nostra quota del commercio mondiale rispetto ai paesi avanzati. Il declino è finito? Dunque, la Cina non ci fa paura? Per carità, Giulio Tremonti ha le sue ragioni. Ma l'Italia non è poi tanto fragile, al contrario di quel che sostiene la maggioranza degli economisti: arretra meno di Francia, Regno Unito, Stati Uniti e Giappone.

    Ipotesi di successione
    Se prendiamo il mercato interno, le cose cambiano. Dal lato della domanda, che resta depressa, anche se non negativa (anzi l'anno scorso i consumi sono cresciuti dell'1,4 per cento). E dal lato dell'offerta, perché industria e servizi domestici hanno una produttività inferiore e costi maggiori. E' un dualismo storico (a chi è in là con gli anni ricorda i dibattiti degli anni Sessanta, durante il primo centrosinistra). Per altri versi è la conseguenza delle mancate liberalizzazioni e delle logiche collusive che riducono la concorrenza. Insomma, alla globalizzazione il capitalismo italiano comincia a rispondere per le rime, ma il “sistema” ha mantenuto una zavorra fatta di rendite e cartelli. L'agenda Giavazzi non era del tutto sbagliata. Quel che tarpa le ali allo sviluppo non è la Cina, ma la solita vecchia Italia.
    I se e i ma abbondano nel rapporto Istat. Un po' perché la realtà è di per sé nuancée. Un po' perché grazie al sapiente dosaggio di avversativi Biggeri cerca di difendersi dal fuoco incrociato e salvare una trincea che sente insidiata da più parti. Lunedì scorso il Corriere economia ha dedicato due pagine a quello che è sembrato un processo all'Istituto, provocando un vero subbuglio. Tanto più che il servizio era accompagnato da un'intervista a Fiorella Kostoris, vista da molti come una candidatura. Date le comuni frequentazioni nel salotto Aspen, c'è chi insinua che possa essere lei l'asso nella manica di Tremonti.