Ciao Tommy Lapid
Abbiamo intervistato spesso Lapid, era simpatico e riusciva sempre a darci spunti interessanti per capire Israele. Lo ricordiamo ripubblicando le ultime due interviste, una del 2 febbraio del 2006, quando si era appena dimesso da Shinui, e una del 19 gennaio del 2007, quando il capo di stato maggiore Dan Haluz si era appena dimesso in seguito alle critiche sulla gestione della guerra in Libano
2 febbraio 2006
"I palestinesi sono stati stupidi". Lapid vota l'amico Olmert e ci dice che la vera cura è l'unilateralismo
“Signor Lapid, come sta?”. “Ho visto tempi migliori”. Yosef “Tommy” Lapid non è più il leader del piccolo partito israeliano laico, Shinui. Ha dato le sue dimissioni in vista del povero risultato che il gruppo si aspetta di ottenere alle urne, il 28 marzo. I sondaggi dicono che a fatica vincerà un seggio alla Knesset, il Parlamento israeliano. Shinui, “cambiamento”, in ebraico, sotto la leadership dell'istrionico Lapid, dal 1999 al 2003 ha compiuto un piccolo miracolo: è diventato il terzo partito all'Assemblea nazionale. 450 mila israeliani gli hanno dato il loro voto nelle elezioni del 2003. Ha trovato il suo posto al centro, tra la destra del Likud e la sinistra di Avoda. Il gruppo è nato come partito laico e liberale nel 1974, dalla mente di uomini d'affari e accademici, nei mesi immediatamente successivi alla guerra dello Yom Kippur. Lapid è arrivato soltanto nel 1999. Per unirsi a Shinui ha lasciato la carriera di giornalista e noto presentatore televisivo. La sua trasmissione, Polpolitica, sul canale pubblico, era una specie di Porta a Porta nostrano; lui era conosciuto al grande pubblico per la sua retorica arrogante e tagliente e per gli articoli che pubblicava sul quotidiano Maariv. La piattaforma dello Shinui del miracolo era fortemente laica, moderata, a favore dei matrimoni civili, assenti in Israele, dei diritti degli omosessuali, del libero mercato e di una politica della sicurezza contro il terrorismo dura. Lapid e i membri del partito si sono sempre dichiarati a favore degli assassini mirati.
La vittoria di Hamas alle elezioni legislative palestinesi arriva pochi giorni dopo le sue dimissioni. “Rafforzerà il partito di Benjamin Netanyahu (la destra del Likud, nda). Ma, non credo faccia molta differenza – dice al Foglio – Ehud Olmert (primo ministro in carica, nda) vincerà alle urne. C'è una nuova tendenza politica”. Il premier “sta creando una buona lista. E' più a sinistra di Ariel Sharon e riuscirà ad avere abbastanza devoti per formare una coalizione” di governo. Definisce il neo leader laburista, Amir Peretz, troppo radicale; la destra del Likud troppo anti pace, per la sua posizione contraria al ritiro unilaterale dalla Striscia di Gaza; chiama la vittoria di Hamas una rivolta contro la corruzione e un paradosso: si danno elezioni democratiche, ed è eletto il partito meno democratico. La popolazione era arrabbiata e stufa di Fatah, il movimento al potere, spiega, ma questa è anche una vittoria dell'islam radicale e dimostra come tra gli arabi ci sia una tendenza a seguire l'estremismo religioso. “Hanno votato un partito che chiede la distruzione d'Israele. I palestinesi hanno scelto la strada della guerra. Uno si sarebbe aspettato che, dopo così tanti anni di sofferenze, avrebbero scelto la pace, Abu Mazen”, presidente dell'Autorità nazionale. “Devo dirle che sono stupidi”. Non c'è dubbio, Olmert dovrà fare passi unilaterali, spiega, la possibilità di andare a negoziati diminuisce. “Io sostengo il processo di pace, Olmert e Sharon, ma sono esasperato dal comportamento dei palestinesi”.
Shinui, nel 2005, ha appoggiato il governo del premier Ariel Sharon sul piano di disimpegno dalla Striscia di Gaza, nonostante nel 2004, il suo leader, allora ministro della Giustizia, avesse dato le dimissioni dall'esecutivo. La ragione fu la decisione del primo ministro di rinnovare i finanziamenti alle istituzioni “haredi”, ultra ortodosse. La grande battaglia portata avanti dallo Shinui di Lapid è stata quella contro il potere dei partiti religiosi all'interno dell'esecutivo. La sua grande vittoria è stata la chiusura del ministero degli Affari religiosi e l'affievolimento del ruolo di gruppi come lo Shas nella coalizione di governo. Il maggior rimpianto di Lapid è non essere riuscito, nei suoi sette anni alla guida del movimento, a creare una reale divisione tra Stato e sinagoga.
Il successo di Shinui è anche la ragione della sua caduta. Le divisioni interne hanno portato a uno scisma e alle dimissioni del leader e dell'ex numero due, Avrham Poraz, che ha perso la sua leadership nelle recenti primarie. Oggi, di Shinui rimane poco o nulla: qualche deputato poco conosciuto alla Knesset. Lapid è fuori; Poraz ha creato un nuovo gruppo, da poco ammesso al Parlamento, il Partito laico liberale. Ne è la guida. Secondo Lapid, Shinui ha fallito proprio perché è riuscito in uno dei suoi obiettivi principali: ha assicurato la fuoriuscita dei partiti religiosi dalla coalizione di governo guidata da Sharon. Ora, per il pubblico israeliano è diventato difficile giustificare l'esistenza di un movimento votato a creare un esecutivo laico. Non è più necessario. E, nel frattempo, è arrivato Kadima, il neo partito fondato dal premier Sharon, dopo la sua fuoriuscita dal Likud. Il premier è in un letto d'ospedale, in coma, in seguito a un'emorragia cerebrale, dagli inizi di gennaio. La nuova entità politica si è subito dichiarata una forza centrista e si è posizionata su un territorio che per molto tempo è stato di Shinui. “Abbiamo perso i nostri elettori a favore si Kadima per due ragioni: prima di tutto a causa del carisma di Sharon; poi perché la lotta contro il potere religioso è finita, siamo riusciti a ridurlo”. Shinui non aveva più un posto sullo scacchiere politico, ammette Lapid, senza rimpianti. E ammette, senza remore, che Kadima “è assolutamente la ragione della crisi di Shinui”. Il giovane partito ha aperto la sua campagna elettorale martedì: Olmert ha presentato la lista formata da 50 persone al centro congressi di Gerusalemme, blindato; ha tenuto un lungo discorso, davanti a vasto pubblico. Ha detto che Sharon è stato centrale per il successo del partito. Tutto, nella sala conferenze, parla del primo ministro ricoverato. La campagna stessa è basata sulla sua immagine: ai due lati del palco dove siedono i membri del gruppo ci sono due gigantografie del viso del premier. “Kadima è nata prima di tutto per la determinazione, il coraggio e la leadership del primo ministro Ariel Sharon”, ha detto al pubblico il suo successore. Ma, alle sue spalle, ci sono le scritte: “Kadima (avanti) Israele”, “con Ehud Olmert”. E con Shimon Peres. I membri della lista sono stati presentati uno per uno: nome, cognome, breve curriculum vitae. Ma, la sala esplode e tutti si alzano in piedi quando l'ex leader laburista sale le poche scale del palco. Il pubblico accoglie con calore anche il neo ministro degli Esteri, Tzipi Livni, e l'ex agente dello Shin Bet, i servizi segreti interni, Avi Dichter. I sostenitori di Kadima apputano le nuove spille del movimento al bavero della giacca, accanto alla bandiera d'Israele: c'è scritto Kadima, in blu, accanto a una striscia rossa, che assomiglia a una freccia.
Il neo partito del leader Sharon festeggia la partenza della sua prima campagna elettorale mentre Shinui esce silenzioso di scena.
Lapid, l'ex giornalista e anchorman, è un personaggio molto controverso e criticato in Israele. Ha il viso paffuto, pochi capelli bianchi e arruffati, pesanti borse sotto gli occhi, il portamento goffo, le maniere troppo schiette e dirette. A molti non è piaciuto il modo con cui, con la sua ingombrante personalità, ha messo nell'ombra giovani e promettenti politici all'interno del suo gruppo, incentrando la vita del partito attorno alla sua immagine, coltivando il culto della sua figura. Ed è proprio la nuova generazione che, alle recenti primarie, ha mostrato il suo scontento, creando divisioni all'interno di Shinui. Le sue pesanti prese di posizioni antireligiose e anticlericali, inoltre, gli hanno alienato anche una larga parte dell'elettorato laico.
Lapid, la prima vittima di Kadima, ha impersonificato il centro per sette anni, anticipando quello che sembra essere il futuro politico del paese. Se si votasse oggi, infatti, Kadima otterrebbe 44 dei 120 seggi alla Knesset, Avoda 21, il Likud 14. La caduta di Shinui non ha significato la caduta del centro, in Israele. Al contrario. Ariel Sharon lo ha attirato a sé, fondando Kadima e prendendo ciò che serviva al proprio progetto a sinistra, dai laburisti, e a destra, dal suo ex partito, il Likud, usurpando all'amico Tommy l'elettorato moderato. Lapid, il sopravvissuto dell'Olocausto, nato Tomislav Lampel, a Novi Sad nel 1931, in quello che era l'allora regno di Jugolsavia, è oggi fuori dalla scena politica. Ma, in molti si domandano ancora per quanto. “Non penso farò parte del prossimo Parlamento”, dice lui. E' emigrato in Israele nel 1948, ha vissuto a Tel Aviv, dove si è laureato in legge. E' sposato e ha due figli. Oltre alla politica, ha la passione per gli scacchi: è persino stato presidente dell'Associazione nazionale israeliana. Si dice sia legato a Sharon, e anche a Olmert, racconta lui, da una forte amicizia. Ma, non pensa che sia una ragione abbastanza buona per unirsi a Kadima. “Tutti mi fanno la stessa domanda. Non credo entrerò nel partito. Ho la mia ideologia. Se Kadima si facesse alleati tra i religiosi, io non vorrei entrarci”. Racconta che Sharon ha guidato il paese con successo: ha combattuto l'Intifada e ha fatto passi positivi per la pace. E, con Benjamin Netanyahu, attuale leader del Likud, come ministro delle Finanze, anche per l'economia. Ma, l'importanza di Sharon “sta nella sua leadership: è stato come un padre per la nazione. Forse, dopo Ben Gurion, è stato l'unico grande statista”. “Signor Lapid, sta paragonando Sharon a Ben Gurion?”. “No, no, Ben Gurion è il fondatore d'Israele”.
19 gennaio 2007
Se Israele si avvita
Israele è in crisi, ma passerà, dice fiducioso il vice premier Shimon Peres. Chiede che si smetta di fare un gran clamore sulla questione delle dimissioni di Dan Halutz, capo di Stato maggiore. Un sostituto si troverà, in due settimane, taglia corto. La crisi di leadership però c'è. E c'è anche chi crede, come uno dei grandi vecchi della politica israeliana, l'ex leader del piccolo e laico partito Shinui, Tommy Lapid, che Israele non abbia mai avuto una coalizione di governo forte come quella attuale, nonostante in crisi e sotto attacco. La procura israeliana minaccia di sospendere in parte i poteri di primo ministro Ehud Olmert, contro il quale ha aperto un'inchiesta. E' sospettato di atti di corruzione nella privatizzazione della Banca Leumi, nel 2005, quando era ministro dell'Economia. Il capo di Stato maggiore ha dato le dimissioni, sotto accusa per la sua conduzione della guerra in Libano contro Hezbollah. In seguito all'annuncio, mass media e analisti del paese non hanno perso tempo e hanno chiesto l'uscita di scena degli altri due leader coinvolti nella gestione della conflitto: Olmert e il suo debole ministro della Difesa, Amir Peretz, che non era neppure stato avvertito dal premier delle dimissioni del capo di Stato maggiore. Un comitato governativo è al lavoro e a breve presenterà i risultati dell'inchiesta sulle responsabilità dei vertici politici e militari nella guerra estiva. Si dice, neanche troppo a bassa voce, che le tensioni tra Olmert e il suo ministro degli Esteri siano in aumento. Tzipi Livni aveva irritato il premier per non avergli riportato l'esito di colloqui avuti con funzionari palestinesi riguardo a un piano per il ritorno a negoziati che la ministra ha presentato come suo anche a Condoleezza Rice la settimana scorsa. L'ex ministro della Giustizia, Haim Ramon, aspetta la sentenza del tribunale. E' accusato di aver baciato una soldatessa in servizio in un ufficio governativo contro la volontà di lei. Moshe Katsav, presidente, è sotto inchiesta da agosto, sospettato di molestie sessuali contro alcune impiegate del suo ufficio.
La leadership israeliana è incastrata tra scandali, inchieste sulla corruzione di politici, polemiche, teste che cadono, lotte intestine e tensioni tra ministri dello stesso governo. “Da una parte siamo davanti a un'ovvia crisi di leadership – dice al Foglio Lapid – dall'altra il governo ha una forte maggioranza. E' un paradosso: c'è un esecutivo debole con una base forte”. No, dice Lapid, questo governo non è in pericolo e Kadima, partito di Olmert, non è, come hanno scritto i giornali israeliani, sul punto di fare la fine di Shinui, uscito dalla scena politica quasi un anno fa. “Potrebbe succedere se si andasse a elezioni, ma non si andrà, perché la paura dei deputati di perdere il seggio è un importante fattore di coesione interna per Kadima”. Il governo è sotto attacco da ogni fronte: inchieste su crimini, mass media arrabbiati, sondaggi contrari. Tzipi Livni ha battuto di moltissimi punti, a inizio gennaio, Olmert. Gli elettori di Kadima preferirebbero lei come primo ministro. Nonostante i ripetuti attacchi, spiega Lapid, in Parlamento la coalizione è forte e sta andando bene. La prova, spiega, è l'approvazione della Finanziaria già nella prima settimana dell'anno: un tempo da record. L'unica ombra reale si alzerebbe sul governo nel caso in cui l'inchiesta su Olmert provasse un suo coinvolgimento in atti di corruzione. Se così non fosse “continuerà a essere premier – dice l'ex politico e giornalista televisivo Lapid – cercherà di mandare via Peretz e di mettere al suo posto l'ex primo ministro laburista Ehud Barak”. La successione a Halutz, gridano i giornali israeliani seguiti da quelli palestinesi, potrebbe causare un terremoto. Olmert ha già fatto sapere che sarà lui a occuparsi di trovare un altro capo di stato maggiore, prevenendo ogni mossa di Peretz. Legalmente è il ministero della Difesa a essere incaricato della sostituzione. Con Livni, dice Lapid, si tratta di tensioni legate alle visioni “più di sinistra” del ministro rispetto a quelle del premier e al fatto che se lui dovesse dimettersi, sarebbe lei a prenderne il posto. Nel rumore delle ultime ore, Israele sembra mettere momentaneamente da parte il conflitto con i palestinesi e i timori nei confronti dell'Iran atomico, immerso in una bizzarra atmosfera di normalità. “Scandali, inchieste sulla corruzione, sgambetti tra compagni di coalizione non si conciliano con l'immagine di un paese militarizzato e sempre in emergenza bellica. “Non c'è assolutamente nulla – secondo Lapid – che possa far pensare a uno straniero che non legge i giornali e arriva in Israele che il paese abbia grandi problemi”. L'economia è in crescita e la vita quotidiana molto spesso non è contagiata dalla minaccia non immediata del nucleare iraniano e dal conflitto con i palestinesi.
Il Foglio sportivo - in corpore sano