Non è stato (e non sarà) un festival barboso

Così Bettini ha consegnato ad Alemanno la Festa del cinema

Stefano Di Michele

"Il cinema…”. Già, il cinema. “Beh, in fondo è l'arte che fa più sognare. L'ho coltivata fin da piccolo, per il mio carattere di sognatore e di bambino impaurito dalla vita”. Goffredo Bettini ha fatto gli ultimi due sindaci della capitale – Rutelli e Veltroni – ha creato il “modello Roma”, fa il coordinatore del Pd, ha fatto il senatore, è stato deputato…

    "Il cinema…”. Già, il cinema. “Beh, in fondo è l'arte che fa più sognare. L'ho coltivata fin da piccolo, per il mio carattere di sognatore e di bambino impaurito dalla vita”. Goffredo Bettini ha fatto gli ultimi due sindaci della capitale – Rutelli e Veltroni – ha creato il “modello Roma”, fa il coordinatore del Pd, ha fatto il senatore, è stato deputato… Ma quella che ora deve lasciare – abbandonare per farla continuare a vivere – è la sua creatura più amata e coccolata e immaginata: la Festa del cinema – ché di tanti onori passati, è l'unico che avrebbe voluto trattenere. “Il cinema ti aiuta ad affrontare le asprezze del reale, il sogno ti porta in una dimensione più facile di gratificazione, per sfuggire alle trappole e alle durezze”. Fino a un certo punto, poi non è stato più possibile. Così, l'altro ieri, Bettini si è separato dalla sua amata creatura, rimettendola nelle mani del sindaco Alemanno.

    “Abbiamo stabilito un rapporto leale, un confronto serio, non ho alcun motivo di lamentarmi di impegni non mantenuti. Ma al primo incontro in Campidoglio mi ha fatto un'impressione…”. Dice così, Bettini, e chissà se l'impressione è solo squisitamente cinematografica, certo è un'immagine suggestiva. Eccola: “Quella stanza, lo studio del sindaco, mi è molto famigliare. Sono andato infinite volte da Rutelli e Veltroni. Adesso, si apre la porta e c'è un avversario politico… Comunque, una persona garbata, che ascolta…”. E' una spogliazione inevitabile e dolorosa, quella di Bettini. “Una grande macchina gioiosa, ma non da guerra”, dice. E così spiega: “Figuriamoci, la politica è bella, è la passione della mia vita. Ma nella politica alla fine devi rinunciare a tantissima parte di te stesso. Fare la Festa del cinema, invece, è davvero l'attività che ho creato, che realizza quello che uno ha dentro l'anima”. Ricorda quando lo propose a Veltroni: “Roma è la città del cinema, io e te amiamo il cinema, l'Auditorium è una splendida struttura per una festa del cinema…”. Con qualcosa di più, si capisce: la serate a New York a parlare con Scorsese, De Niro sul tappeto rosso, Di Caprio in borgata – attori e sogni e immagini.

    “Forse la cosa più bella della mia vita. Certe cose che uno voleva acchiappare e vivere e fare fin da bambino, e alla fine ci riesci. Nella politica non è possibile: dici duecento per avere dieci, piena di strali e cattiverie e amarezze… Tante cose che uno neanche aveva immaginato di riuscire a toccare con la mano… Moltissime emozioni: non una visione di potere, ma tanto divertimento”. Ora, probabilmente la mano passerà a Gian Luigi Rondi – che si è detto disponibile dopo aver incontrato ieri pomeriggio il sindaco Alemanno – e Bettini annuisce soddisfatto: “Una persona che è sempre stata vicinissima alla Festa, competente, una persona molto perbene”. Gioca strani scherzi, il destino. E uno può anche inseguire il sogno del cinema, poi la politica presenta sempre il conto. Così è stato ad aprile, e la festa, che sulla città voleva spargere il sogno (o almeno, un pezzetto di sogno), si è ritrovata in una città in preda a incubi fino a quel momento sconosciuti. Il sogno conosce dunque ragioni che la politica ignora? Dice Bettini che non vedeva e non vede “contraddizioni tra la necessità di dare risposte dure alla violenza e la costruzione di sogni”. Punta pure l'indice sulla “dittatura del mercatismo, di una visione brutalmente materiale che porta con sé questo stadio del capitalismo: le persone non vivono solo dalla cintola in giù”. E poi certo, ammette tra le ragioni della sconfitta “un clima plumbeo”, a Roma come altrove, tutto il contrario del clima che volevano creare lui e Walter, e dunque pure la Festa oggi appare “una specie di controcanto rispetto alla sensazione che si è diffusa: prevale un altro timbro, paura e arroccamento”.

    Riconosce, Bettini, che “c'è un quadro politico nuovo in città”, e che passare la mano può essere triste, ma può essere la salvezza della Festa. “Se ci sono questioni, le tolgo dal campo. Chiedo solo a tutti i soggetti politici interessati di salvare questa esperienza”. Così inseguita e voluta e costruita. Forse da quando andava a vedere da bambino gli spaghetti western, e faceva proiettare a scuola “La terra trema” di Visconti, “all'inizio c'erano cento studenti, alla fine io da solo che facevo finta di conoscere il siciliano”, o l'incontro con Pasolini, o la prima recensione sul giornalino scolastico: per “Incompreso”, di Comencini, tre film al giorno al cineforum, “passione morbosa coltivata fin da piccolo…”. Tutto un precipitare di sogni e capacità politiche, per tre anni, su quel tappeto rosso, “non volevamo un festival barboso come tanti”. E' andata: “La cosa più bella che ho fatto…”. Perciò, mica è facile come smettere di fare il senatore.