L'Elefantino risponde a due lettere

In uno stato di polizia l'intercettazione è la regola, in uno liberale è l'eccezione

Giuliano Ferrara

Le intercettazioni, se usate come sostituto di vere indagini e dunque abusate, se metodo sistematico e diffuso di ricognizione investigativa a raggiera o a pioggia, sono in sé, a prescindere dalla pubblicazione delle trascrizioni, una limitazione grave della libertà civile.

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    Al direttore - D'accordo col suo editoriale, pubblicato sul Foglio del lunedì. Mi sembra, però, astratta una predeterminazione dall'alto della categoria dei reati, per i quali le intercettazioni sarebbero ammesse. Mi sembrerebbe più opportuno affidare a un organo collegiale – e non al singolo gip, come succede oggi – il compito di dare al pm le necessarie autorizzazioni. Queste dovrebbero essere date per confermare indizi già raccolti altrimenti e non per confermare ipotesi cervellotiche di un qualsiasi pm. Inoltre, allo stesso organo di controllo dovrebbe essere affidato il compito di vagliare la parte rilevante dei verbali da quella che tale non è, ordinandone l'immediata distruzione. Pene severe per chiunque dovesse pubblicare i verbali senza la prescritta autorizzazione. Luigi Bitto, Bergamo.

    Al direttore - E' anche un problema di cultura investigativa. Poter intercettare non significa doverlo fare per forza. Non c'è in pratica un'inchiesta con reati per i quali la legge permette di mettere sotto controllo i telefoni e collocare cimici dove non si proceda con le intercettazioni. Da anni a priori sono state tralasciate del tutto le tecniche investigative classiche, a vantaggio di una sorta di scorciatoia che non è certo la prima nella nostra storia giudiziaria. Prima furono i “pentiti” a provocare danni pressoché irreparabili e ai quali infatti non si è posto rimedio. Esaurito quel filone si cominciò con la tecnologia applicata alle indagini. Infine è arrivato il “Grande fratello”. Il problema non è solo quello della pubblicazione di fatti irrilevanti per le indagini ma che mettono in croce persone estranee a qualsiasi accusa o anche responsabili di reati le quali però finiscono per pagare prima del processo un surplus di pena dal momento che diventano di pubblico dominio fatti privatissimi. Gli “ascolti” vanno ridotti e non solo perché incidono in modo estremamente pesante sui costi della giustizia. Cultura della legalità, tanto invocata dai mozzorecchi girotondini, significa innanzitutto rispettare la dignità delle persone. A cominciare dai “colpevoli” o presunti tali, per finire agli “innocenti”. Il fine non giustifica i mezzi. Mai. Frank Cimini, Milano.

    Le intercettazioni, se usate come sostituto di vere indagini e dunque abusate, se metodo sistematico e diffuso di ricognizione investigativa a raggiera o a pioggia, sono in sé, a prescindere dalla pubblicazione delle trascrizioni, una limitazione grave della libertà civile. Origliare un cittadino e la sua rete di relazioni deve essere in linea di principio proibito, anche allo stato. Si può intercettare un indagato in via eccezionale, come dice il dottor Bitto per decisione collegiale e in base a indizi già raccolti, e solo per produrre il materiale che riguarda il suo reato in dibattimento. Il giurista liberale ed ex tutore della privacy Stefano Rodotà è mosso da buone intenzioni, ma dovrebbe riconoscere che in uno stato di diritto impicciarsi delle vite degli altri è l'eccezione motivata alla regola, non il metodo investigativo automaticamente esteso a tutti gli indagati e a ogni fattispecie di reato, come accade infallibilmente in uno stato di polizia.

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    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.