Polemica luddista di un nostalgico saturniano
L'iPhone è l'ultimo sintomo di una brutta malattia
Evidentemente è presto. Ma prima o poi arriverà il giorno in cui potremo equiparare l'analfabeta tecnologico al suo gemello con l'i-Phone incorporato. Equipararli nella medesima diagnosi: inadeguatezza alla vita, quella vera, quella che non si misura con le onde elettromagnetiche e con l'assurda pretesa di essere sempre connessi.
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Evidentemente è presto. Ma prima o poi arriverà il giorno in cui potremo equiparare l'analfabeta tecnologico al suo gemello con l'i-Phone incorporato. Equipararli nella medesima diagnosi: inadeguatezza alla vita, quella vera, quella che non si misura con le onde elettromagnetiche e con l'assurda pretesa di essere sempre connessi, interconnessi, collegati, internauti, svelti, anzi istantanei e tarantolati dal vai e vieni della posta elettronica. La vita vera era ed è un'altra cosa che non potremmo nemmeno lodare a sufficienza come usa per il tempo antico. Se non altro obbedisce ad altri demoni più carnali. La differenza tra i due malati, l'analfabeta e l'integrato multimediale, è piccola ma rilevante. Il primo è una vittima collaterale del progresso, appartiene ad altri secoli e, anche quando di questo suo anacronismo fa un vezzo estetico, merita la commiserazione dovuta al frammento di una specie condannata dall'evoluzione. Il secondo invece si sceglie con entusiasmo la propria malattia e ne rivela l'essenza involutiva; e mentre nega Darwin sta già assolvendo l'analfabeta. Perché l'i-Phone è l'anello che mancava per dimostrare che l'esperimento umano può non essere un successo. Intanto perché non profuma e notoriamente, quando si affaccia alla realtà qualcosa di sterile all'olfatto, non c'è ragione di giudicarla viva. Sicché l'allucinato tecnologico sta deambulando con qualcosa di non vivo addosso, in tasca, nell'orecchio e prima o poi sotto la pelle.
Un'ubbia gratuita? Anche. Ma un'ubbia germogliata all'ombra di una domanda genuina: per quale motivo il mondo contemporaneo ha preso a dubitare di se stesso con tanta energia, ha messo in questione la parola “progresso” e l'area semantica che le sta tutt'intorno (quella della scienza), ma poi si beve con sonora ingordigia ogni prodotto artificiale servito dalla tecnica sul tavolo intorno al quale si attovaglia la meglio dittatura del desiderio? Ecco, ma la dittatura del desiderio è un concetto applicabile soltanto alla manipolazione di embrioni à la carte, o c'entra qualcosa con la bulimia? Con l'attuale e straordinaria capacità umana di produrre desideri e spazzatura a getto continuo.
Dice: ah come sei reazionario e primitivo, vorresti magari tornare all'uso delle candele, delle bighe e dei fuochi di segnalazione. Sai invece che gioia crescere un figlio ingnorante sulle mirabili qualità della verbena osservata a ciuffi lungo un viottolo non inquinato da onde elettromagnetiche; un figlio rintronato dai bi-bip sintetici di cellulari e videofonini. Dice: ma l'i-Phone mica esclude il viottolo di montagna, il verde della campagna, il rosa dei tramonti; au contraire, quale migliore sintesi archeofuturista di un sentire antico combinato con il dispositivo più avveniristico. No, non ci siamo proprio. Proviamo con l'esempio spicciolo, con la verifica sul campo. Pregasi di recarsi nella radura di un bosco e avvicinare un cavallo selvatico – memento: selvatico – muniti di telefono cellulare spento. Pregasi di accenderlo una volta raggiunto l'equino e notarne la reazione di allarmato disprezzo e la conseguente fuga. Ma questo dimostra qualcosa, oltre all'incompatibilità tra un cavallo selvatico e un i-Phone? Per cominciare certifica che l'uomo contemporaneo è inferiore a un cavallo, sia quanto a sensibilità sia quanto a istinto di autoprotezione dall'elemento innaturale. Dopodiché ciascuno è libero di consegnarsi al proprio demone. Ma se il demone è tecnologico, ci si rammenti la tristezza d'una vetta montana sfigurata dalle antenne televisive: la montagna è l'anima e le antenne sono la condanna. Demone per demone, è meglio quello roseo di Bacco cui si vota inconsapevolmente l'ubriacone o quello nero di Saturno cui si vota il nostalgico dell'età dell'oro.
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