Il caso in Lombardia scoppiato per le intercettazioni telefoniche

Addio medical drama

Annalena Benini

Quella clinica ha distrutto tutto. I particolari, le telefonate fra chirurghi, i polmoni a ottocento euro, una ragazza di diciott'anni a cui hanno tolto un seno senza che avesse un cancro, il chiodo non sterile da impiantare “in qualsiasi malato”, l'indifferenza, la spietatezza, il paziente grave da operare a raffica, i conti dei soldi e delle tette, il tizio che ha già ottant'anni e allora che vuole, vivere?, il medico che si lamenta: “Mi hanno bocciato la mammella novantenne”.

    Quella clinica ha distrutto tutto. I particolari, le telefonate fra chirurghi, i polmoni a ottocento euro, una ragazza di diciott'anni a cui hanno tolto un seno senza che avesse un cancro, il chiodo non sterile da impiantare “in qualsiasi malato”, l'indifferenza, la spietatezza, il paziente grave da operare a raffica, i conti dei soldi e delle tette, il tizio che ha già ottant'anni e allora che vuole, vivere?, il medico che si lamenta: “Mi hanno bocciato la mammella novantenne”. Qualunque ridimensionamento giudiziario nelle vicende pulp del Santa Rita non cambierà nulla: è finito E.R, è finito il dottor House, è finito il Medico in famiglia, Grey's Anatomy, Medicina Generale, tutto. Ora stabiliranno se quei medici hanno ucciso delle persone (oltre a tutto il resto, oltre ai giochi per soldi sui corpi), di sicuro hanno ucciso per sempre le sere passate a guardare medici disfunzionali, nevrotici, infelici, che però davanti al malato smettono di litigare o di farsi le corna e si lanciano nel salvataggio, la maggior parte delle volte ci riescono perché è fiction e lo scopo è innamorarsi del dottor House o almeno del suo assistente giovane, appassionarsi delle storie private e dei corridoi dell'ospedale dando per scontato che per i pazienti si farà anche l'impossibile. Così ogni volta che si entra in una clinica si annega l'ansia nella speranza di incontrare almeno Richard Chamberlain giovane (il dottor Kildare), oppure George Clooney che sorride e dice che certo, andrà tutto bene e si potrebbe andare a prendere un caffè alla macchinetta. Le più ipocondriache hanno la tendenza, poi, a innamorarsi di tutti i medici che incontrano. Adesso è finita, l'eroismo immaginato si è spento (viene da scappare al pensiero di incontrare un primario come quello del Santa Rita e subirne le diagnosi), il fascino irresistibile del camice a cui consegnare la vita o anche solo la gastrite è morto, sostituito dal terrore che arrivi e proponga una piccola anestesia totale. Nella Cittadella (archeologia del teleromanzo medico) Alberto Lupo (il dottor Manson) si faceva pianti torrenziali se un paziente moriva, e nella realtà, quando camminava per strada, lo fermavano per chiedergli qualche diagnosi, qualche pasticca, una curetta veloce per il mal di schiena. Perché il medico era tutto, davvero, uomo che cura gli uomini, zoccoli bianchi in grado di dare risposte, eroe a cui mandare regali per Natale, star di cui seguire fedelmente le avventure televisive, per consolarsi, per pensare che c'è sempre un po' di speranza se il tizio che prima della pubblicità stava morendo adesso abbraccia la moglie e giura che non la lascerà più. Poi è ovvio che i medici veri non possono essere sempre così, anzi a volte sono stronzi (e più cinici di House), ma questo è il più terribile film horror sui medici mai visto, e cancella decenni di ipnotico medical drama.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.