La Francia di mister Mistero
La Francia di Raymond Domenech è una Nazionale di stelle. “Allora, giochiamo così: in porta Plutone; dietro Nettuno, Urano e Mercurio; in mezzo Giove, Saturno, Luna ed Eros; davanti Marte e Terra. In panchina ci vado io che sono il Sole”.
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Dal Foglio del 2 luglio 2005
La Francia di Raymond Domenech è una Nazionale di stelle. “Allora, giochiamo così: in porta Plutone; dietro Nettuno, Urano e Mercurio; in mezzo Giove, Saturno, Luna ed Eros; davanti Marte e Terra. In panchina ci vado io che sono il Sole”. La notte prima di ogni partita, il commissario tecnico dei Bleus studia la situazione degli astri per capire come andrà il match il giorno dopo. E in quello stesso momento vorrebbe che nelle camere accanto alla sua ci fossero loro, i pianeti. Si sentirebbe più tranquillo Raymond, perché sono la cosa che conosce meglio, perché di loro comprende ogni dettaglio, sa quando potrebbero dare di più e quando invece dovrebbe lasciarli perdere. E' un fissato, l'allenatore della Francia. C'è chi si guarda le partite degli avversari fino a farsi venire i conati di vomito. C'è chi si porta in panchina una boccetta d'acqua santa, chi prende appunti ossessivamente, chi si fa passare un pacchetto di caramelle da uno spettatore, chi si mette il cappotto di lana anche ad agosto, chi spiega la tattica con i giocatori del Subbuteo. Lui studia l'universo. Lui legge l'oroscopo dei suoi giocatori e decide se domani è il caso che giochino o se magari è meglio di no. Perché per Domenech non c'è nessun'altra scienza se non l'astrologia. Perché lui, che sostiene di essere un umanista, racconta che alcuni tra i più grandi pensatori classici erano partiti da lì: Antioco, Tolomeo, Leucippo, Teucro. E mica solo loro, santo cielo: “Anche Federico II di Svevia la praticava. E di recente il nostro ex presidente François Mitterrand frequentava ogni settimana un famoso astrologo. Si faceva predire il futuro, per poterlo affrontare meglio. Volete dirmi che sbagliava? Ma fatemi il piacere. E' una scienza quella, mica è magia. Io ci credo”. S'è dimenticato Hitler. Non s'è ricordato che il Fürher fu un patito di stelle. Però, all'astrologia ci deve credere per forza Domenech. Perché se continua a ripetere che non ci sono problemi nella sua Francia, che si qualificherà ai Mondiali dell'anno prossimo senza alcun dubbio, che chi si allarma tanto è un portajella e basta, deve avere avuto una conferma dagli astri. Il campo finora ha detto il contrario: gli ex campioni del mondo arrancano. In un girone con Cipro, isole Faroer, Irlanda, Svizzera e Israele oggi sono quarti. Passano soltanto le prime due. “Ve l'assicuro. Noi ci qualificheremo”. Raymond ne è certo, nonostante dal 1986 i signori di Francia siano riusciti a partecipare al Mondiale, ma senza mai qualificarsi davvero. Nel 1990 e nel 1994 furono eliminati. Nel 1998 furono ammessi perché paese ospitante. Vinsero e si assicurarono la coppa del mondo 2002, come campioni uscenti. Gli si può raccontare tutto questo, gli si possono rinfacciare i pareggi in casa con Israele e con l'Irlanda, lui risponderà sempre con la stessa certezza: “Ce la faremo”.
I dati di fatto a volte non contano. Forse dipende tutto davvero dalle congiunzioni astrali. Lui, Raymond, ne è convinto come lo è del fatto che il sole sorge ogni mattina e porta una novità per ciascuno di noi a seconda del suo segno zodiacale. E seguendo questa teoria, Domenech ha elaborato un sistema infallibile per mettere in campo la formazione perfetta: “A parità di bravura scelgo chi mandare in campo facendo un'analisi del suo segno zodiacale e della situazione delle stelle in quella giornata. La regola comunque sarebbe questa: può giocare solo uno scorpione per volta. Perché altrimenti c'è il rischio che se ne metto due contemporaneamente giocano soltanto tra di loro. Li metto insieme solo quando la situazione è disperata. I leoni, invece, non posso metterli in difesa. Hanno un grave problema: prima o poi avranno voglia di provare qualcosa di difficile”. Nel 1999 spiegò meglio la formazione guidata dalle stelle: “Se metto un leone in difesa, sono pronto a sostituirlo in ogni momento. Mi sento come uno con la pistola preparata col colpo sempre in canna. Così vale per gli altri: ogni segno ha la sua giornata fortunata. Bisogna capire qual è e poi sfruttarla”. La regola principale monsieur Domenech la usa anche adesso che guida la Nazionale del suo paese. Di norma se gioca Robert Pires resta fuori Benoit Pedretti. E viceversa: sono entrambi scorpioni. Insieme solo quando le cose si mettono male. Non ha più un posto in squadra Mikael Silvestre, calciatore dal passato interista e dal presente al Manchester United: è un difensore, ma è un leone.
Le assenze di Zidane e Thuram
Non dovrebbero c'entrare nulla con l'universo le assenze perenni di Zinedine Zidane e di Lilian Thuram. Si sono ritirati dalla Nazionale ad agosto scorso, appena tre settimane dopo la scelta di Domenech da parte della federazione calcio francese. Hanno detto basta perché non ce la facevano più: hanno vinto un Mondiale e un Europeo, poi hanno raccolto briciole nei tornei successivi. Allora la decisione: addio Francia. Eppure qualcuno a Parigi non ha potuto fare a meno di prendere carta e penna e segnarsi le loro date di nascita: primo gennaio per Lilian, 23 giugno per Zizou. Capricorno l'uno, Cancro l'altro. E allora si scopre che forse sono stati loro a studiarsi il proprio segno e a decidere che era meglio andare prima di combinare qualche pasticcio. Perché il Capricorno Thuram sa di essere uno che non vuol essere criticato, che è capace di tradire per quelle situazioni che stimolano la sua immaginazione e ne determinano una reazione. Ha bisogno di attenzioni, va curato e coccolato. Soprattutto dev'essere ammirato per dare il meglio di sé. E come fa a essere ammirato se quello magari lo mette in panca perché l'oroscopo gira male? Pure il Cancro Zidane avrebbe avuto difficoltà: diventa irascibile quando nessuno se l'aspetta, mette alla prova gli altri. Avrebbe preso il suo allenatore e gli avrebbe fatto le pulci su tutto. Poi si sarebbe trovato non convocato magari al Mondiale perché nella testa dell'allenatore la luna in cancro l'avrebbe fatto giocare male di certo.
Zidane e Thuram se ne sono andati prima di finire a pesci in faccia con il loro superiore. Lui è un acquario: è vanitoso, ama essere considerato una persona con una mente superiore. Lilian e Zinedine Domenech lo conoscevano da molto tempo. L'hanno avuto come tecnico nell'Under 21 e probabilmente non hanno più voluto ripetere l'esperienza. All'epoca, quando allenava i giovani, Raymond era considerato un attaccabrighe indomabile: contro il pallone, contro i dirigenti, contro gli avversari, contro i colleghi. Soprattutto contro quelli italiani. Non ha mai sopportato il nostro calcio: “E' vecchio, sparagnino, anti-spettacolare”. Non l'ha mai sopportato perché ha sempre preso botte indimenticabili: ha perso due Europei contro l'Italia. Una volta fu in semifinale. E allora giù all'attacco di Cesare Maldini: “E' un allenatore, lui? E' uno che sta in panchina e basta. La sua squadra non ha un gioco. E i suoi giocatori sono dei vigliacchi. Ho parlato con il commissario dell'Uefa che stava per arrivare allo scontro fisico con Maldini. Mi ha detto di non prendersela perché gli italiani sono soltanto dei commedianti”. Poi toccò a Tardelli, l'altro che si mise tra lui e la vittoria: “E' stato un buon giocatore. Ha vinto una Coppa del mondo, ma forse è convinto che il calcio si sia fermato all'82”. Tre giorni dopo avrebbe preso un altro cappotto. Mai una volta un'autocritica, neppure quando rivolse il dito medio verso un calciatore avversario, neanche quando a un altro gli scagliò il pallone addosso con rabbia. No: colpa degli arbitri che “si fanno intimorire dai giocatori italiani che sono bravi a fingere e a ingannare”. Sulla panchina dei Blues, Domenech è rimasto undici anni, dal 1993 al 2004. Per questo ha visto passare sotto di sé tutti i più bravi: Barthez, Vieira, Henry, Trezeguet, Pires, Zidane, Thuram, Dacourt, Wiltord. Gente che s'è divisa: o con lui, o contro. Sono rimasti fedeli i primi tre. Il quarto e il quinto non hanno ancora deciso, ma non riescono a digerire il modo di fare del loro commissario tecnico. Perché anche a Trezeguet è capitato di stare fuori senza un motivo vero. Che poi non è l'unica anomalia del suo modo di gestire una squadra. Raymond ha l'abitudine di far allenare i ragazzi nei boschi: “La prima volta che allenai il Mulhouse, portai i miei giocatori in una foresta e dissi di corrermi dietro. Dopo cinque minuti alle mie spalle non c'era più nessuno. Non avevano capito il messaggio: andare in un posto austero, e per certi versi pauroso, aumenta la percezione del mistero in ognuno di noi. Permette anche di conoscersi meglio”.
Quando predicava di seguirlo ovunque
Era il 1984 quando predicava di seguirlo ovunque. Ventun'anni dopo la teoria s'è soltanto adattata. Domenech gestisce Clairfontaine come se fosse casa sua. Il ritiro della Nazionale è la metafora di quella foresta attraversata con il Mulhouse. Perché Raymond ha deciso che intorno ai Bleus si deve creare un alone di mistero perenne, che li faccia sempre sembrare più importanti di quanto siano in realtà. Vuole che diventino come i rugbisti neozelandesi degli All Blacks, con i loro riti, con i loro segreti, con le loro magie. Così il 28 aprile scorso monsieur le Sélectionneteur ha confessato al Monde il suo concetto di Francia pallonara: “Io ho deciso di limitare il più possibile l'ingresso delle telecamere e dei giornalisti a Clairfontaine. Negli spogliatoi per esempio non entreranno mai più, né qui, né tantomeno dopo le partite. Vi spiego il perché: la Francia ha bisogno di mistero. Tutto quello che avviene prima e dopo la partita deve restare segreto. Dobbiamo fare in modo che la gente si interessi soltanto alla partita, ma pensi che ci sia chissà che cosa all'interno di quella stanza dove io parlo mentre i giocatori si vestono o si spogliano. E' necessario creare una specie di incertezza, per creare qualcosa di sconosciuto e per questo accattivante. E' quello che succede nei teatri: lo spettatore si appassiona allo spettacolo perché non vede quello che accade nei camerini e dietro le quinte prima e dopo lo spettacolo. Non sapere quello che succede lo incuriosisce e siccome non potrà scoprirlo facilmente s'interesserà sempre di più a quanto avviene sul palco per cercare di capire chi sono davvero le persone che recitano”.
Il teatro. Non è una citazione casuale: Domenech ne è un grande appassionato. Ha recitato in diverse occasioni. Una volta in “L'Ours”, di Chekov. Poi ha fatto il professore ne “La Leçon” di Ionesco. Ha partecipato con una parte nel telefilm “La Visite” di Roger Coggio. Ma adesso dice che la tv non gli interessa più: meglio il palcoscenico, dove sogna di interpretare almeno una volta nella vita Zorro e il Cid Campeador. E teatrale il commissario tecnico francese lo è in molto aspetti. Nel 2002, dopo l'eliminazione dei Bleus dal Mondiale di Giappone e Corea, gli chiesero se sarebbe stato felice di essere il prossimo selezionatore. Lui gonfiò il petto e disse: “Il giorno che quel posto sarà vuoto, io sarò là a riempirlo”. Quel giorno è arrivato due anni dopo, quando ha battuto la concorrenza di Laurent Blanc e Jean Tigana, ovvero i due allenatori emergenti della nuova Francia che da giocatori hanno vinto insieme un Mondiale e due Europei (Blanc nel 2000, Tigana nel 1984). Domenech, invece, ha vinto pochissimo: due coppe di Francia (nel 1973 con il Lione e nel 1982 con il Paris Saint Germain) e due campionati (nel 1979 con la squadra di Strasburgo e nel 1984 con il Bordeaux). Da allenatore ha fatto anche peggio: ha vinto un campionato di seconda divisione con il Lione e ha messo in fila un secondo, un terzo e un quarto posto europeo con la Under 21. Un anno fa, è stato scelto perché serviva un uomo fedele alla federazione, uno che costasse poco (500 mila euro l'anno per due anni) e che conoscesse i segreti del mondo del pallone nazionale. Domenech era perfetto, proprio per la sua esperienza sulla panchina dei giovani. E non c'è solo questo: lui sa perfettamente come si affrontano certe situazioni e i rischi che si corrono se si sbaglia. L'ha imparato sulla sua pelle: è stato punito pesantemente undici anni fa, durante il Mondiale di Usa 1994. Era al suo primo anno all'interno della federazione. La Francia in America non c'era: non si era qualificata. Furono spediti solo tre osservatori, col compito di guardare, prendere appunti e fare rapporto ai vertici. Tra questi c'era lui, che tra tutti era quello che prometteva di più: qualche settimana prima aveva portato i suoi ragazzi alle semifinali europee, quelle perdute contro l'Italia di Maldini ai rigori a Montpellier. Il 23 giugno 1994, Raymond era a Boston per assistere a Corea del Sud-Bolivia. Dalla Francia gli comunicarono che quella partita poteva anche risparmiarsela, ché non c'era nulla di interessante. Così Domenech allo stadio Foxboro ci andò ugualmente, ma rimase fuori a fare il bagarino. Si mise con i suoi due biglietti in mano per cercare di venderli. Gli si avvicinarono due tipi: “Sono due tagliandi di tribuna centrale, ve li vendo alla metà del prezzo”. Manette. Quei due erano poliziotti in borghese: lo portarono dritto alla centrale, lo chiusero in cella e lo lasciarono lì per una notte. Fu interrogato e processato da una corte del Massachusetts: 500 dollari di cauzione per riavere la libertà. Il giorno dopo volò a Detroit per Svezia-Russia e lì, lontano dai giudici e dai poliziotti di Boston, disse: “E' tutto un assurdo equivoco, perché prima di partire la mia federazione mi aveva detto che avrei potuto vendere i biglietti che non avrei utilizzato”. Avrebbe potuto funzionare in Francia, ma non negli Stati Uniti, dove i bagarini sono visti come criminali comuni. Soprattutto non poteva dire che l'invito a vendere i biglietti glielo aveva fatto la federazione. Al ritorno a Parigi, fu punito: silenzio stampa obbligato per sei mesi, per lui che in quel periodo ogni volta che un giornalista lo chiamava non riusciva mai a dire di no. Da allora è cambiato: non ha mai più accettato di parlare di quell'episodio e soprattutto non vuole che telecamere e taccuini entrino nella vita della sua squadra. Ha consultato le stelle che evidentemente gli hanno consigliato di stare alla larga dai riflettori. Il che però è impossibile per il fatto stesso che un allenatore astrologo non lo trovi tutti i giorni. Ti puoi abituare a quelli che non fanno giocare i campioni perché non sono funzionali a un progetto tattico. Puoi assuefarti ai difensivisti indefessi. Puoi accettare quelli che pensano di non sbagliare mai. Ma uno come Domenech non puoi non osservarlo sempre. Perché ha studiato filosofia e sa come prenderti. Perché parla di mistero. Perché sa recitare. Perché con lui chiunque si può illudere che per gestire una Nazionale sia sufficiente l'oroscopo. E che per prendere in mano una coppa basti giocare con i calciatori dei segni giusti: “Se butta male, metto due scorpioni in campo nello stesso momento. Possono vincere una partita da soli”.
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