Finalmente i cinesi scopriranno il caro greggio

La decisione del governo di Pechino (annunciata giovedì 19 giugno) di alzare le tariffe energetiche – del 18 per cento i carburanti per autotrazione, del 5 per cento l'elettricità – ha dato respiro ai mercati mondiali, tanto che il barile ha immediatamente lasciato sul terreno 4 dollari. La notizia è molto importante perché si tratta di un'inversione di tendenza; è il maggior aumento secco dei prezzi, nel paese del dragone, da dieci anni a questa parte. Finora, i prezzi si sono mantenuti su un livello circa il 40 per cento inferiore a quello americano, e molto più in basso rispetto all'Europa (dove al caro-greggio si aggiunge il caro-fisco). Che osa ci si può aspettare da questo cambiamento? Di sicuro, un rallentamento – a parità di altre condizioni – della domanda cinese, che finora non ha risentito della corsa del Wti, West Texas Intermediate (mentre i consumi negli Usa e nell'Ue si sono addirittura contratti).

Più incerto è se cambierà l'attitudine dell'economia cinese nei confronti dell'energia. Se, infatti, i consumatori si aspetteranno interventi tariffari più frequenti da parte dell'esecutivo, si potrebbe anche assistere a una crescita degli investimenti nell'adeguamento tecnologico. Se invece questo aumento verrà assorbito come una sorta di una tantum necessaria ad alzare l'asticella, allora l'effetto sarà più contenuto e avrà qualche conseguenza strutturale solo al margine, cioè dove l'efficientamento delle modalità produttive è facile e poco costoso. E' presto per dirlo, e la soluzione ideale sarebbe un passaggio totale dal controllo alla libertà di prezzo: qualcosa, comunque, è cambiato. E il mercato tira un sospiro.