Dalla lacca di Caselli al barbiere di Prodi

Il sangue dei tinti

Annalena Benini

Le acconciature maschili sono un divertimento feroce, sono forse l'unica zona libera dalla correttezza politica, sono lo zimbello universale. In nessun altro campo si può essere tanto spietati come nei confronti di un maschio che si tinge i capelli credendo che nessuno se ne accorga, mentre è universalmente risaputo che la tintura si vede subito, il riporto anche, il trapianto pure, la lacca non ne parliamo.

    Le acconciature maschili sono un divertimento feroce, sono forse l'unica zona libera dalla correttezza politica, sono lo zimbello universale. In nessun altro campo si può essere tanto spietati come nei confronti di un maschio che si tinge i capelli credendo che nessuno se ne accorga, mentre è universalmente risaputo che la tintura si vede subito, il riporto anche, il trapianto pure, la lacca non ne parliamo (la scena in cui, nel film “Il Divo”, il procuratore antimafia Giancarlo Caselli si spruzza la lacca sui capelli prima di entrare in aula, distrugge qualunque alone di eroismo costruito nei decenni). “Chissà se Berlusconi, quando va a dormire, si toglie la cuffietta di peli morti che porta incatramati in testa”, ha scritto Maria Novella Oppo sull'Unità di ieri, mentre Maria Laura Rodotà, sul Corriere, ha gentilmente massacrato Antonio Bassolino che, dopo aver cambiato la riga, ha infine ceduto al caché. I capelli eccessivamente curati degli uomini sono la nostra ossessione, la nostra vendetta, e si sequestra il barbiere bolognese di Romano Prodi per estorcergli che sì, magari una tinturina scura gliel'ha fatta (e Carlo Azeglio Ciampi, tanto gentile e tanto onesto, forse si è fatto illuminare il bianco). Un uomo ha diverse possibilità: la tintura (quell'inconfondibile castano ramato oppure nero pece che a un certo punto, come a Dick Bogarde-Gustav von Aschenbach in “Morte a Venezia”, comincerà a colare dalla fronte in segno di disfacimento morale), il riporto (cioè l'uso intenso dei pochi capelli che si possiedono, ma Renato Schifani ha dovuto rinunciarvi per diventare presidente del Senato, mentre Andrea Ronchi resiste), il trapianto (ricrescita miracolosa di capelli propri o altrui, a volte con effetto leggermente tappeto) e infine la coiffure, la cura della chioma, per dimostrare più capelli e abbellirli: Roberto Formigoni ha creato una specie di ricciolo sulla fronte, ad esempio, per camuffare la stempiatura, ma in questo campo va detto che il Foglio ha decretato da sempre la vittoria di Furio Colombo. Una volta la coiffure con tintura era segno di frociaggine (come nel Vizietto, oppure nei Vitelloni la scena sulla spiaggia con vecchio capocomico bavoso che insidia Leopoldo Trieste), ora è spettacolo (un grande o piccolo show, anche solo domestico, di giovinezza e gagliarderia): Michele Santoro fece la sua grande rentrée televisiva con uno splendido e luminoso punto di biondo, ma le critiche crudeli lo costrinsero a ritingersi di opaco. Tutti come i presentatori televisivi, adesso, tutti come Simona Ventura, tutti hollywoodiani come il Cav. Gli uomini tricologici non sono eroticamente considerabili (perché li si immagina sotto il casco, con le stagnole in testa, o a farsi ritoccare la ricrescita invece che a caccia per boschi a mani nude), però quella fatica in più, e il tentativo disperato e impossibile di non farla notare (come il botulino sulle ragazze, come il silicone sulle labbra), li rende quasi femmine, quindi simpatici.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.