Vocazione minoritaria
W. rimane senza colpi in canna e senza il Cav. Il Pd non lo difende più
Poteva essere l'occasione giusta per Walter Veltroni e l'ex sindaco di Roma avrebbe potuto caricarlo qui il secondo colpo in canna del Partito democratico. Eppure ieri pomeriggio il segretario del Pd si è ritrovato a convocare un'Assemblea nazionale brontolona e praticamente dimezzata.
Leggi l'appello per il Partito democratico che Michele Salvati scrisse sul Foglio il 10 aprile 2003
Leggi l'intervista a Walter Veltroni sul Foglio del 18 dicembre 2007
Roma. Poteva essere l'occasione giusta per Walter Veltroni e l'ex sindaco di Roma avrebbe potuto caricarlo qui il secondo colpo in canna del Partito democratico. Eppure ieri pomeriggio il segretario del Pd si è ritrovato a convocare un'Assemblea nazionale brontolona e praticamente dimezzata, si è ritrovato a chiedere di ritirare le dimissioni a un presidente (Romano Prodi) che fino a qualche mese fa era stato sconfessato pubblicamente dallo stesso W. e, come se non bastasse, a fine giornata il leader dell'opposizione ha registrato la fine (momentanea?) traumatica del CaW. Il presidente del Consiglio ha infatti attaccato Veltroni a proposito della gestione finanziaria del comune di Roma (“Veltroni si preoccupi delle notizie terrificanti sui conti di Roma che vanno sotto la sua responsabilità” e si ricordi che “non c'è mai stata una luna di miele con l'opposizione in Parlamento”).
E dall'altra parte, il segretario del Pd ha risposto con una certa fermezza e ha spiegato che per il momento è chiuso qualsiasi tipo di dialogo. “Questo – ha detto W. – è uno spartiacque che rischia di segnare negativamente l'intera legislatura e che strappa la delicatissima tela del dialogo istituzionale”. Ieri però (rinviando la nomina del presidente del Pd a fine anno) ha provato anche a fare quello tosto, Veltroni, ha rispolverato lo spirito girotondista dei vecchi tempi e ha convocato in autunno un'azione di protesta in tutto il paese (e Antonio Di Pietro gli ha subito chiesto perché non farlo adesso). Nei due interventi all'Assemblea il segretario ha ripetuto quali saranno le parole chiave sulle quali crescerà l'alternativa del Partito democratico all'attuale governo: vocazione maggioritaria, alleanze per il governo, opposizione intransigente, discontinuità dall'esperienza dell'Unione e no a ritorni al passato (“Noi non torneremo indietro ai tempi del clima di odio e di contrapposizione ideologica tra maggioranza e opposizione”). Ma ieri pomeriggio non è andato tutto liscio per il segretario del Pd. Anzi. L'assemblea che fino a poche ore fa era ancora il simbolo delle primarie del 14 ottobre, e che fino a poco tempo fa era ancora il cuore di quella formidabile investitura popolare che aveva lanciato nove mesi fa Walter Veltroni alla testa del partito, è ormai un organo azzoppato; un organo che verrà via via sostituito dalla nuova direzione nominata ieri pomeriggio (200 membri) e che su 2.800 delegati ieri a Roma era rappresentata da poco meno di 1.000. “Nella discussione di oggi abbiamo registrato un altissimo grado di convergenza. Forse anche al di là delle aspettative”, ha provato a dire Veltroni a fine giornata. Ma l'impressione è che la resa dei conti nel Pd sia semplicemente rinviata, perché sono in tanti oggi nel partito a bisbigliare a bassa voce quello che invece ha avuto il coraggio di strillare nel pomeriggio Arturo Parisi. Alcuni delegati toscani del Pd sostengono che oggi è “come se stessimo tutti sotto choc per un terremoto pazzesco ed è come se non riuscissimo ad alzarci in mezzo a tutte le rovine”.
“Siamo interessati all'Udc”
L'ex ministro della Difesa, invece, non è arrivato a chiedere le dimissioni di W, ma dopo aver ascoltato Veltroni mentre diceva che il Pd di oggi è “il compimento perfetto dell'Ulivo del 1996” Parisi non ha resistito, è salito sul palco dell'assemblea e l'ha messa così: “Per noi il progetto dell'Ulivo aveva come obiettivo un bipolarismo a vocazione bipartitica ma che si facesse carico di unificare tutto il centrosinistra. Questa non è una assemblea democratica”. Poi l'ex ministro della Difesa ha continuato il suo scontro personale con il segretario fino a dire al Foglio che il Pd è arrivato alla “decomposizione”. Il punto è che il Veltroni di oggi è molto lontano da quello che aveva provato a indossare l'abito da Obama italiano. E' anche vero che dopo due mesi Veltroni è riuscito finalmente a nominare la parola “sconfitta” e che su alcuni punti il segretario del Pd è stato chiaro. Per esempio sulle alleanze (“Siamo interessati al dialogo con l'Udc e con i socialisti”) e per esempio sull'effettivo peso che avranno nel Pd fondazioni e correnti (“Bisogna mescolare le culture diverse del Pd senza riprodurre le vecchie correnti dei vecchi partiti”). Ma il fatto è che oggi è difficile trovare qualcuno nel Pd pronto ad appoggiare in modo incondizionato il segretario. Quasi tutti ieri hanno condiviso la relazione di Veltroni ma non c'è stato nessuno pronto a spendere una parola a difesa della sua leadership. Pronto a dire semplicemente: “Scusate ma Veltroni non si tocca”. E ci sarà un motivo, dunque, se l'unica standing ovation della giornata è arrivata solo quando Veltroni ha nominato Prodi.
Leggi l'appello per il Partito democratico che Michele Salvati scrisse sul Foglio il 10 aprile 2003
Leggi l'intervista a Walter Veltroni sul Foglio del 18 dicembre 2007
Il Foglio sportivo - in corpore sano