Kimasutra politico/2

Matteo Sacchi

Le vigilesse di Pyongyang sono invece più fortunate, di vetture negli enormi viali ne vedono passare anche cinque o sei al giorno, senza contare gli autobus di remota origine ungherese.

    Le vigilesse di Pyongyang sono invece più fortunate, di vetture negli enormi viali ne vedono passare anche cinque o sei al giorno, senza contare gli autobus di remota origine ungherese. Così, per confortevoli turni di dodici ore, zompettano su una pedana in complicate coreografie per indicare ai pedoni quando attraversare una strada sempre vuota, ai conducenti dei mezzi, che non ci sono, quando partire. Il loro è uno dei mestieri più ambiti, l'equivalente in stile Juche (la filosofia comunista coreana) della nostra velina. La leggenda vuole che le scelga personalmente il Caro Leader e che nessun occidentale resista all'idea di scattare una foto a queste generalesse piacenti con funzione di semaforo umano. Solo che a pensare che anche questa è propaganda viene da sentirsi male. Immaginate di passare la vostra vita su una colonnetta in una megalopoli deserta, con escursione termica che va da meno venti in inverno a più quaranta in estate, di eseguire tutto il tempo con le braccia e il corpo delicate movenze per indirizzare alla sua destinazione il niente. Il tutto tra l'invidia dell'80 per cento della popolazione che vi considera delle privilegiate, delle elette servitrici della rivoluzione che ha creato il paese più ricco e felice della storia. Soltanto comprimendo il pensiero in questi termini, e moltiplicando il tutto per 20 milioni di individui si può capire il dramma di un popolo che muore di fame, che si riscalda quasi esclusivamente a legna e che pensa di essere l'ombelico del mondo. Perché è questo che, nel profondo, tutti quelli che non vivono in Corea del nord non riescono a credere: che i coreani non sappiano. Eppure all'ombra del dittatore grasso, per usare il titolo del libro di Michael Breen che parla del sistema Corea, sono infinite le cose che le persone possono non sapere. Le radio e le televisioni vengono vendute con i sintonizzatori bloccati sui canali di stato e ad averle è soltanto una ristretta parte della popolazione. I computer connessi alla rete sono poche decine, e i giornali confondono per varietà: il Nodong sinmun (quotidiano dei lavoratori, emanazione del comitato centrale), il Klloja (il lavoratore, emanazione del governo), il Nodong chngnyn (gioventù che lavora, emanazione del movimento giovanile del partito). Per farsi un'idea delle notizie di punta che forniscono basta andare sul sito dell'agenzia di stampa ufficiale, la Kcna (kcna.co.jp). Gli scoop di questi giorni sono: i festeggiamenti per i 60 anni dell'unione dei giornalisti della Corea del nord, i seminari tenuti per gli 80 anni del Partito dei lavoratori della Corea, i festeggiamenti in Laos per il medesimo, l'istituzione di un nuovo premio d'onore per gli operai che accelerano la produzione, le riunioni e i festeggiamenti avvenuti in molte città coreane a seguito del riuscito esperimento atomico. Quanto agli esteri un articolo al giorno denuncia l'imperialismo americano e critica i giapponesi, vetero imperialisti. Tipacci che insistono per riavere i loro cittadini rapiti o, ingiustamente, considerano l'essere a tiro di missile balistico una prospettiva seccante. A essere maligni si potrebbe pure notare che, per illuminare il mondo di tanto giornalismo, la Culla dell'autarchia è costretta ad appoggiarsi a un server giapponese non essendo capaci di far da soli, ma sono quisquilie che non turbano i colleghi nordcoreani.

    Contando che poi il palinsesto della tv di stato contiene soprattutto opere poetico-liriche, partorite dalla creativa e sentimentale penna di Kim Jong II, non stupisce che una buona parte dei coreani non sappia che gli americani sono andati sulla luna, che la Corea del sud abbia un pil di quasi 30 volte superiore al nord, che ignorino quasi tutto della geografia degli altri paesi e abbiano seri problemi a identificare nomi come: Dante, Lincoln, Robespierre, Elisabetta I, Elton John, Pelè e Alessandro Magno. Stupisce di più che abbiano difficoltà anche con Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao. Questi nomi li conoscono, ma se decidono di leggere le loro opere sono costretti a richiedere un permesso scritto e a recarsi ai depositi dove sono tenute sotto chiave. Sono comunque libri non omogenei alla filosofia Juche creata da Kim Il Sung, versioni precedenti, occidentali o imperfette, e potrebbero far danno sulle menti meno accorte. In compenso però, in dodici anni di scuola obbligatoria (la più lunga al mondo), i cittadini del faro della libertà comunista imparano la biografia di Kim Il Sung e di Kim Jong Il. Scoprono così che i coreani si sono liberati da soli dai giapponesi, appena appena aiutati da un episodio secondario chiamato Seconda guerra mondiale, che hanno coraggiosamente combattuto e praticamente vinto contro gli Stati Uniti e le truppe dell'Onu durante la guerra del 1951-53, appena appena aiutati da qualche volontario cinese, e che la più grande sciagura del comunismo è stata la destalinizzazione operata da Krusciov. Soprattutto imparano gioiosi episodi di miracolismo proletario riferiti al Presidente eterno e, in maniera sempre crescente, al suo erede, il Caro leader Kim Jong Il. Le chicche memorizzate sin da quando i bambini hanno quattro anni sono l'epifania con doppio arcobaleno e stelle del piccolo Jong Il, la sua precocità nel procurarsi un fucile anti imperialista, i suoi innumerabili gesti di sacrificio e la sua fedeltà alla memoria del padre. Pagine e pagine di mitopoiesi della personalità che sono imparate a memoria, esattamente come le 1200 opere attribuite al genitore Sung, non ancora eguagliate dalle 800 attribuite al pargolo. Le prime più sul versante ideologico tecnico, le seconde con sfondo artistico educativo, come l'immortale capolavoro “Mare di sangue”. (2. continua)