Kimasutra politico/3
La realtà è che nessuno sa veramente chi sia questo Kim Jong Il, di cui si ride per non piangere o a cui ci si inchina per non morire. Conosciamo i suoi occhiali da sole da cattivo di film di serie z, le sue giacchette e il capello cotonato con basetta scalpata.
La realtà è che nessuno sa veramente chi sia questo Kim Jong Il, di cui si ride per non piangere o a cui ci si inchina per non morire. Conosciamo i suoi occhiali da sole da cattivo di film di serie z, le sue giacchette e il capello cotonato con basetta scalpata. Punti fermi dello stile del dittatore postmoderno che stanno facendo scuola, li scopiazza Ahmadinejad, esattamente come ogni ragazzino di Seul che si senta un po' ribelle non può fare a meno di farli suoi. Questa è esteriorità calcolata, lo show che parte appena scesi dal treno blindato fa coppia con la boutade al plutonio. Non dice niente della reale pericolosità dell'uomo Kim, della sua natura. Men che meno ne sanno gli stessi nordcoreani che vivono sospesi tra il suo essere leggenda salvifica o demoniaca: avrebbe ucciso il suo fratellino annegandolo, è un uomo mite che non parla mai, è loquacissimo, ha migliaia di film, legge moltissimo, è ignorantissimo, beve moltissimo, finge di bere moltissimo, ha scatti d'ira, è molto più calmo del padre, ha sottomesso i generali, è sottomesso ai generali.
L'unica certezza allora restano le immagini televisive, vere nell'inganno. Lui che ascolta con aria assente ossequiose signorine in abiti tradizionali che gli raccontano, durante le sue visite lampo, i progressi della nazione. Lui ascolta e tace, guarda quasi annoiato, dice una parola, tutti fanno sì con la testa. Lui se ne va, sapendo benissimo che la fabbrica è una ciofeca, che deve dare gli aiuti ai militari per farli mangiare lasciando morire gli altri, che il mondo lo prende in giro ma ha paura di lui, del suo pulsante per scatenare un giorno del giudizio da dio minore. Così tace e nel dubbio prospera, così affama e nell'affamare rende il nord un boccone troppo amaro e inutile perché il sud possa ingoiarlo. La furbizia stolta di chi ha ereditato l'incredibile fusione tra trenta secoli di storia feudale coreana e la guerra fredda, di chi cammina sopra un filo che non può che rompersi. Un arrocco forzato da cui non sa più come uscire. Deve fingere forza all'interno, per i milioni che ancora non sanno la verità, deve chiedere scusa all'esterno ogni volta che esagera, deve prendere gli aiuti internazionali e far credere ai suoi compagni che siano danni di guerra versati da americani e giapponesi. Soprattutto deve fomentare l'odio ma non fomentarlo mai troppo, cavalcare la sciarada dell'atomo. Se sbaglia, e prima o poi tutti sbagliano, il 38° parallelo potrebbe prendere fuoco. E come finirebbe in caso di guerra vera è cosa esente da dubbi: i coreani del nord perderebbero, verrebbero spazzati via.
Quanti si farebbero ammazzare per difendere i falansteri di cemento e i ritratti dei Kim? Non si sa. Quanti danni potrebbero fare prima di farsi ammazzare, con quello che sulla carta è il secondo esercito più numeroso del mondo? Non si sa, forse davvero minimi, ma “forse” è un po' poco per prendersi certe responsabilità. E allora quelli fuori, il mondo, aspettano seduti sull'embargo. Anche quelli dentro aspettano, anche se non sanno di aspettare. Un giorno in un modo o nell'altro qualcuno toglierà il blocco ai ricevitori delle radioline, o magari farà vedere ai diretti interessati i disegni che Guy Delisle ha fatto su Pyongyang. Con il loro bianco e nero di dolore hanno fatto il giro del pianeta. O, più semplicemente, farà vedere ai nord coreani la differenza tra una giacca a vento e i loro giubbottoni a tre bottoni (fenomeno che ha già provocato parecchie fughe), tra un tostapane e la carbonella, tra un cellulare e una zappa. Anche così non è detto che tutto diventi chiaro. Senza contare che qualcuno continuerebbe a sintonizzare la propria testa sulle frequenze del regime. C'è anche chi lo fa qui in Europa. Basta guardare il sito della Korea Friendship Association, con sede legale in Spagna e con l'immancabile costola italiana. Sono belle paginate a fondo nero e allegri caratteri rossi. Se siete pazienti potrete sfogliare pagine e pagine con tutti i successi del popolo coreano, lodati da apostoli occidentali. Esattamente come moltissimi cinefili aspettano di vedere nelle nostre sale “The School girl's diary” il primo film nordcoreano che da decenni viene venduto sul mercato di paesi normali. In molti già dicono che il film mostra il lato umano della Corea del nord. Dimenticandosi che il leader che non parla mai, ma mette mano a tutta la filmografia del regime, ha visto abbastanza dell'occidente per toccare il nostro cuore delicato, tra un petardo da quattro kiloton e una scaramuccia di confine. Così qualcuno continua a zappare e aspetta senza sapere di aspettare, qualcuno paga il biglietto, qualcun altro aspetta in un bunker al confine. Il satellite gira. Ammaliato da Kim spera nella sua grande occasione: luci, luci, buio, luci. Luci, esplosioni, esplosioni, luci. Buio, funghi atomici, funghi atomici, buio. (3. fine)


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