E' perfida e se ne frega. Perché Maureen Dowd è necessaria

Christian Rocca

Maureen Dowd è “la più pericolosa delle editorialiste americane”, definizione del New York Magazine, la più cattiva e brillante penna degli Stati Uniti. George W. Bush, da lei immancabilmente chiamato soltanto “W” e descritto come un bambino viziato, pensa che la Dowd sia velenosa come “un cobra”.

    New York. Maureen Dowd è “la più pericolosa delle editorialiste americane”, definizione del New York Magazine, la più cattiva e brillante penna degli Stati Uniti. Le sue due rubriche settimanali sul New York Times, il mercoledì e la domenica, fanno male e fanno ridere, spesso fanno ridere da star male. George W. Bush, da lei immancabilmente chiamato soltanto “W” e descritto come un bambino viziato, pensa che la Dowd sia velenosa come “un cobra”, ma quando l'anno scorso l'opinionista s'è presa una brutta infezione alimentare durante un viaggio presidenziale in Arabia Saudita, Bush le ha fornito il suo medico personale e le ha anche trovato posto sull'Air Force One per farla stare accanto al dottore nel viaggio di ritorno. Lei ha ringraziato sul Times, ma ha anche scritto di aver rifiutato una cura intravenosa, “così almeno ho evitato il rischio dell'avvelenamento”.

    La rossa cinquantaseienne della vecchia signora in grigio, cioè del New York Times, scrive di politica al ritmo di una puntata di “Sex & the city”, con stile abrasivo e perfido sarcasmo femminile. Fa gruppo con le sue amiche giornaliste del cuore, tutte cattivissime come lei: la critica tv Alessandra Stanley e la mammasantissima delle recensioni letterarie Michiko Kakutani. Per tutte le altre sono dolori, ammesso che le prenda in considerazione. Spesso, anzi, fa finta di non riconoscere le colleghe più giovani.
    Domenica, MaDo è stata criticata dal Public Editor del suo stesso giornale per aver usato toni sessisti contro Hillary Clinton. Non è una grande novità. MaDo è criticata spesso dal garante dei lettori del Times perché scrive sempre cose terribili e oltraggiose, anche contro gli uomini. Ma è proprio questo il motivo per cui le sue column sono imperdibili, perché mischia in modo irriverente temi seri e frivolezze, assieme a una straordinaria capacità di inventarsi neologismi e nomignoli che poi restano nel linguaggio politico: il vicepresidente Dick Cheney è “Vice”, che in inglese vuol dire anche vizio, ma anche “Darth”, il cattivo di Guerre Stellari. Donald Rumsfeld lo chiama “Rummy”, Paul Wolfowitz “Wolfie”, George Bush senior “Poppy”, mentre il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad è “I'm-a-Dinner-Jacket”.

    I toni sessisti li usa sempre. MaDo non fa altro che leggere la politica come una gigantesca battaglia dei sessi, dove il vero scontro è tra chi ha il cervello e chi usa il sesso. Nel tritacarne di MaDo ci sono finiti tutti: Clinton e il suo accusatore Ken Starr perché ossessionati dal sesso, Al Gore perché totalmente privo di mascolinità e Barack Obama, detto “Obambi”, perché si fa comandare a bacchetta da sua moglie e mostra troppi lati femminili della sua personalità. La sua ex collega Judith Miller, definita “donna di distruzione di massa”, è stata oggetto di un editoriale di una ferocia senza precedenti, forse anche perché la Miller era la giornalista che con i suoi scoop sulle armi di sterminio di Saddam che poi non si sono trovate ha fatto fare varie figuracce al Times diretto dal suo ex fidanzato Howell Raines. Anche la mascolinità di Michelle Obama è sotto tiro costante, così come l'eccessiva femminilità di Carla Bruni in Sarkozy.

    Difficile che parli bene di qualcuno e che badi alle conseguenze. Christopher Hitchens ricorda che MaDo costrinse Salman Rushdie alla fuga, svelando sul Times che lo scrittore colpito dalla fatwa di Khomeini era l'ospite segreto di casa Hitchens.
    MaDo è stata fidanzata con Michael Douglas, prima che l'attore si sposasse con Catherine Zeta-Jones, ma non è stata l'ultima volta in cui è finita sulla pagina dei gossip del New York Post. Ai tempi in cui usciva con il geniale sceneggiatore di “The West Wing”, Aaron Sorkin, MaDo gli scrisse una e-mail privata e intima che per sbaglio ha inviato a un collega della cronaca che si chiamava Sorkin come lo sceneggiatore.

    A un certo punto un suo ex fidanzato, John Tierney, è diventato editorialista del Times come lei e i due si sono ritrovati con l'ufficio accanto all'altro: “Usiamo lo stesso bagno – ha commentato Dowd – più o meno la stessa cosa che sarebbe successa se ci fossimo sposati”. Con gli anni, MaDo si è convinta che gli uomini siano pappamolle terrorizzati dal successo e soprattutto dal cervello delle ragazze. Su questo ha scritto un libro, “Gli uomini sono necessari?”, e non perde occasione per tornarci. Quando MaDo ha vinto il Pulitzer, naturalmente per i suoi fantastici articoli sul Sexgate, ha temuto che a causa di quel premio non avrebbe mai più trovato un fidanzato.