Germania-Portogallo 3-2
C. Ronaldo è l'argomentum definitivo della Questione Antropologica
Adesso finalmente la smetteranno, tutti quei laiconi di tre cotte che pontificano sempre sui giornali. Finalmente abbiamo l'argomentum definitivo, la prova provata dell'esistenza della Questione Antropologica. Cari laicisti, e pure cari bioeticisti, non era una fissazione del cardinal Ruini.
Germania-Portogallo 3-2
Adesso finalmente la smetteranno, tutti quei laiconi di tre cotte che pontificano sempre sui giornali. Finalmente abbiamo l'argomentum definitivo, la prova provata dell'esistenza della Questione Antropologica. Cari laicisti, e pure cari bioeticisti, non era una fissazione del cardinal Ruini. La Questione esiste, eccome. Solo che, poveretto, don Camillo aveva sbagliato Conferenza episcopale: la drammatica Questione Antropologica non abita da noi, ma riguarda i portoghesi. E giovedì sera, allo stadio di Basilea, primo quarto di finale degli Europei 2008 – quelli a cui Cristiano Ronaldo e i suoi amici si erano presentati con il vestito lustro dei favoriti, con le facce giuste da angeli sterminatori – zacchete, la Questione Antropologica è saltata fuori, come un diavoletto, come la pentola senza coperchio. Così i fenomeni portoghesi invece del “dream team” da tutti annunciato, la squadra spettacolo che aveva provato a essere nelle prime partite, si sono ritrovati a essere i soliti, malinconici e inconcludenti ballerini di fado prestati al fùtebol che sempre sono stati. Questione Antropologica, che nemmeno quel sergente di ferro, quel satanasso della motivazione e dello spirito vincente di Felipao Scolari è riuscito a ribaltare. Questione però anche estetica. Perché spente le luci della tv digitale, il calcio lusitano è tornato a essere quello da film colorato a pastello, da inquadratura fissa, da passo di danza fermo sulla mattonella. Insomma quella pappa triste che piace soltanto ad Antonio Tabucchi. Sotto la pioggia e su un campo rizzollato che sembrava San Siro, è anche logico che si vada meglio con i cingolati tedeschi che con le scarpette da ballo. Tolto Deco, unica tra le stelle ad aver provato a guadagnarsi la sua parte, un disastro, una crisi di personalità. Anzi appunto antropologica.
Su una fascia Simao, quando Lahm o Friedrich non lo asfaltano prima, sparacchia in direzione Nowhere, tanto da immalinconire persino i gioviali Nesti e Collovati. Sull'altra Bosingwa, quando non è attaccato al gsm per cercare di capire che fine ha fatto Podolski, butta in mezzo traccianti che non servono a nessuno. In difesa Paulo Ferreira sembra un naufrago in una tonnara. Ma è ovviamente il solista, il gran fuoriclasse, che nella notte di Basilea subisce la regressione genetica peggiore, tornando a essere un inconcludente fantasista lusitano. Cristiano Ronaldo, che è l'ultima versione del football global-show inaugurato da David Beckham, sintesi da dieci e lode di velocità, tecnica e potenza, tirato a lucido come una rockstar bella, se piace il genere, come un sex symbol da teenager, si è perso per strada. Un tiro a fine primo tempo e poco più, con il suo dream team già sotto di due gol, e poi più nulla. E subito dopo la sconfitta, manco fosse Roberto Mancini, invece di scusarsi con il pubblico pagante e i tifosi portoghesi, eccolo piagnucolare che forse se ne va, saluti a Manchester e passo al Real Madrid. Dall'altra parte, invece, c'erano i ragazzoni della Germania che non la temono, la Questione Antropologica. La loro filosofia di gioco è sempre quella, solida come un sistema etico hegeliano. Credono, obbediscono, combattono, non mollano mai. Da decenni arrivano sempre in fondo a tutte le competizioni. Bastian Schweinsteiger si è tinto la zazzera in color Papa Ratzinger, ed è lui la superstar di giornata; Ballack dà pure una manata a Ferreira sul terzo gol, come fosse un truffaldino qualsiasi. E forse anche queste sono una mutazione antropologica.
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