Speciale Pallon d'Essai
Tutto l'Europeo da Pagliuca alla Nonna del calcio
Spagna-Germania 1-0
La Contrada Nonna dopo quarantaquattro anni ha cambiato nome. Ieri sera le giovani furie rosse del vecchio Aragonés, il saggio hidalgo José Luis Aragonés Suárez Martinez, con i suoi occhiali da poeta andaluso in disuso, hanno cancellato l'onta facendo polpette, come gioco, geometria e intensità, se non proprio di gol, dei mai domi tedeschi. Chapeau.
Spagna-Germania 1-0
La Contrada Nonna dopo quarantaquattro anni ha cambiato nome. Ieri sera le giovani furie rosse del vecchio Aragonés, il saggio hidalgo José Luis Aragonés Suárez Martinez, con i suoi occhiali da poeta andaluso in disuso, hanno cancellato l'onta facendo polpette, come gioco, geometria e intensità, se non proprio di gol, dei mai domi tedeschi. Chapeau. Un popolo in tripudio come una sola contrada, gli spagnoli. Sprigionando una gioia antica, come avessero vinto il Palio di Siena, sono corsi con la “cuffia”, il simbolo della Contrada Nonna che li strozzava dal 1964, per regalarlo alla nuova Nonna del calcio europeo. Ma anche mondiale: l'Inghilterra. Tra le grandi nazioni del calcio – escludendo cioè quelle che non hanno mai vinto e mai presumibilmente mai vinceranno, fintanto che il gioco del calcio continuerà ad essere ciò che è – da ieri sera la Contrada Nonna, la nazionale che non vince da più tempo, è diventata la più nobile: quella dei Leoni di Sua Maestà, ultimo (e unico) successo conosciuto: i mondiali del 1966. giocati proprio in Gran Bretagna. Da allora, gli inventori del football hanno collezionato solo fiaschi. Ora i nuovi Grandi di Spagna gli hanno rifilato pure “la cuffia”. E toccherà a don Fabio Capello – per ironia della sorte, ultimo domicilio conosciuto Madrid – cercare di disfarsene il più in fretta possibile. Hasta la victoria siempre!
Spagna-Russia 3-0
Il giorno in cui Marcello Lippi, vincitore del Mondiale per un rigore sparato sulla traversa dai francesi, torna a fare il ct della Nazionale italiana (“se è solo un problema di fortuna, allora va bene Lippi”, ha detto quel genio di Zeman), Roberto Donadoni, silurato dalla Nazionale italiana per essere stato sconfitto agli Europei per un calcio di rigore, può farsi un paio di ragionamenti. Di quelli senza allegria e senza buon umore, grigi grigi come il suo pizzetto da moschettiere disarmato. Ad esempio, che lui con la sua negletta Italietta in 120 minuti di sofferenza dalla Spagna dei fenomeni non aveva incassato manco un gol, c'è voluta la cinica lotteria. E nonostante ciò a lui l'hanno cacciato senza nemmeno la buonuscita, senza beccare una liretta perché gli avevano fatto un contratto capestro che manco a una badante rumena sarebbe elegante fare. E invece Guus Hiddink, il commissario tecnico olandese famoso per parlare sei lingue e per aver allenato nei sette mari, ha felicemente in tasca il suo contratto per guidare i russi fino al 2010, uno stipendio che gli paga direttamente Roman Abramovich attraverso la Russian National Football Academy, e che è di un milione e mezzo di euro a stagione, mica male davvero, e si permette pure di fare dichiarazioni tipo: “La sconfitta per noi deve essere solo il punto di partenza per crescere verso la Coppa del mondo”. Eppure, le stelle rosse della Russia tutta bel gioco ed energia di Hiddink, contro le furie rosse di José Luis Aragonés di gol ne hanno beccati sette in due partite, alla media di uno ogni venticinque minuti. Si potrebbe sintetizzare che i russi c'hanno Abramovich, e noi invece Abete. Ma a quel punto, diventeremmo tristi tutti, e non solo Donadoni.
I tifosi spagnoli invece si sono divertiti alla grande giovedì sera e minacciano i poveri svizzeri e austriaci – che francamente non ne possono più, hanno anche lamentato un eccesso di rifiuti da smaltire – di farlo almeno fino a domenica, quando andranno a Vienna a giocarsi la finale contro i tedeschi, che comunque li rigiri sono sempre un osso duro. Avevano le maglie colore dell'oro, ieri sera al Prater di Vienna, gli spagnoli. C'era anche David Villa, che nella partita precedente ai russi aveva rifilato tre gol su quattro, e Akinfeev e compagni avevano il mal di pancia solo a vederlo da lontano. Ma poi anche il folletto delle Asturie ha incontrato il suo gatto nero, come tanti altri in questi Europei, e ha dovuto uscirsene. Ma il gatto nero quest'anno non sembra aver voglia di perseguitare il vecchio hidalgo Aragonés, e fuori Villa ecco entrare, prima della canonica staffetta delle altre partite, Cesc Fabregas. E scusate se ogni tanto vien voglia di esorbitare, ma Fabregas è l'unico centrocampista del mondo che da quando aveva sedici anni gioca in mezzo al campo con l'autorità di un veterano, la velocità di un ragazzino e la classe di un fuoriclasse. Fuoriclasse vero: di quelli che raramente sbagliano un pallone, quasi mai una partita; insomma non come Andrei Arshavin, la funanbolica stella russa, che sul prato-piscina della semifinale s'è perso come uno scricciolo, trascinando sott'acqua anche tutti i suoi. Insomma il primo tempo era andata ancora abbastanza bene, ai russi. L'avevano tenuta sullo zero a zero, persino Marco Civoli e Salvatore Bagni non avevano trovato poi tutto 'sto granché da ridire sulla Russia. Per quanto il dubbio cominciasse a serpeggiare e a rodere come un tarlo. Il dubbio è questo, e nessun commentatore tecnico vorrebbe mai ammetterlo, perché sembra un dubbio da dilettanti: ma sono bravi loro, o sono scarsi gli altri? In questi Europei, ci abbiamo fatto l'abitudine a osannare come fenomenali imprese di squadre che poi, la volta dopo, finivano gambe all'aria e chiappe in favore di calci in culo: dal Portogallo all'Olanda, per intenderci. E la Russia? E la Russia arrivata in semifinale luccicante come una nave da crociera sul Volga? La Russia se n'è andata in acqua dopo il primo gol beccato da Xavi all'inizio della ripresa. Si sarebbe dovuto reagire come a Stalingrado, e invece sono stati gli spagnoli a scatenare la fiesta, su e giù per gli spazi, come gorgheggia Civoli, micidiali, essenziali. Fin quando Fabregas decide di mettere lì un pallone di lusso che persino Daniel Güiza, il puntero più triste di tutta la Spagna riesce a mettere dentro. Di là, in attacco, combatte solo Pavlyuchenko; Akinfeev sputa sui guantoni e cerca di difendere la bandiera, ma non è serata, davvero non è serata, e arriva la terza mazzata, firmata da David Silva, che ha un nome meno rodomontesco di Fernando Torres, ma coi piedi ci sa fare, eccome. In panchina, Hiddink stasera sembra un po' meno il Professor Fantastic delle altre sere, anzi l'aria mogia gli accentua la somiglianza con Carletto Ancelotti. Ma anche questo, a Donadoni, non gli farà piacere. A Vienna!
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