L'analisi di Lodovico Festa
Il pericolo Di Pietro
I desideri dell'elettorato a grande maggioranza paiono chiedere una fase di serenità e si riflettono sia sugli orientamenti della maggioranza sia su quelli dell'opposizione, dove la lite di fondo tra il vigliacchetto Walter Veltroni e l'egocentrico Massimo D'Alema appare più su chi riesce a pacificare la nazione (cercando di non farsi notare) che su altro.
Ripubblichiamo l'analisi di Lodovico Festa del 2 luglio sul "Pericolo Di Pietro".
Nel quadro internazionale, il sentimento prevalente è per la stabilizzazione. Così Nicolas Sarkozy e Angela Merkel ma in questo senso anche – par di capire – gli orientamenti della futura Casa Bianca sia di John McCain sia di Barack Obama. Per ciò che riguarda l'establishment italiano la prima notazione è sulla sua fiacchezza con voglia di tregua per intrighi e assalti. Questo appare lo spirito di Sergio Marchionne, di Giovanni Bazoli, di Cesare Geronzi, di Alessandro Profumo. L'unico vispo tra loro, Paolo Scaroni, certo non si mette a tramare contro il governo.
I desideri dell'elettorato a grande maggioranza paiono chiedere una fase di serenità e si riflettono sia sugli orientamenti della maggioranza sia su quelli dell'opposizione, dove la lite di fondo tra il vigliacchetto Walter Veltroni e l'egocentrico Massimo D'Alema appare più su chi riesce a pacificare la nazione (cercando di non farsi notare) che su altro. Insomma i principali fattori che potrebbero aprire spazi ad avventure dipietriste al momento non paiono indicare pericoli immediati.
Però è bene sottolineare molto quel “al momento” perché la fase che viviamo non è “tranquilla” rispetto sia al quadro internazionale sia alla situazione economico-sociale italiana. Non esiste un equilibrio internazionale sufficientemente consolidato rispetto alle tensioni prodotte sia da tendenze come la jihadista (ora prevale la variante khomeinista) sia da sostenute guerre commerciali che potrebbero provocare guasti inediti. Prezzo del petrolio e del cibo e ricorrenti crisi finanziarie danno un'idea di quali potrebbero essere i prossimi scenari. In questo contesto globale e anche nel nostro paese certi fenomeni di impoverimento dei ceti medi e dei lavoratori possono provocare improvvise rotture sociali. Insomma l'ottimismo dell'intelligenza va ben bene calibrato e la situazione va tenuta sotto controllo.
Il dipietrismo non è soltanto un fenomeno residuale, una fastidiosa appendice di quella guerra nella sinistra che usa qualsiasi pattume pur di sostenere una fazione contro l'altra. No, c'è innanzi tutto un legame stretto con un ordine dello stato (o almeno con suoi consistenti settori), la magistratura, che ha una notevole e organizzata influenza sulla vita della società. Ma vi è anche il sostegno di basi sociali, limitate ma non del tutto trascurabili.
Si sa che in qualsiasi comunità un certo rancore sociale è inevitabile: di fatto per progredire l'umanità ha bisogno anche di conflitti e dove ci sono conflitti, si sviluppano convinzioni molto caratterizzate che possono portare all'odio e alla faziosità. Il problema diventa più acuto quando, come è successo in Italia, alcune culture fondamentali (dal marxismo al dossettismo, per certi versi anche a qualche filone neofascista) che elaboravano il rapporto tra protesta e proposta e limitavano così il “rancore sociale” sono entrate in crisi. La mediazione del conflitto diventa dunque fragilissima: uno perde in Borsa (o gli alzano il mutuo o il figlio non trova lavoro) e subito vuole fare schiaffare in galera qualcuno per grattarsi la rogna che gli è capitata.
L'autoreferenzialità della politica che segna molta parte della storia del nostro paese, combinata con il carattere asfittico ed egoistico di larga parte del nostro establishment, fa sì che non solo non vi sia un granché di rapporto tra élite e società ma che in più vi sia scarso senso di responsabilità nelle élite stesse. Per valutare il fenomeno basta considerare come la corporazione della magistratura (comprese tante persone perbene e di buon senso che ne fanno parte) nel suo complesso abbia lasciato esplodere il rapporto con la politica. Quindi mentre certamente tanti elementi del quadro generale inducono all'ottimismo, non bisogna sottovalutare il potenziale distruttivo (e le sue basi sociali) di certi movimenti.
Il rancore sociale. Chiunque abbia a che fare con qualsiasi media si rende conto che il rancore sociale espresso dal dipietrismo è forte e vivace. Né si può contare molto sulla tenuta del nostro malmesso establishment: basta considerare come si comporta la cosiddetta stampa indipendente. Questa (a parte Repubblica, giornale-partito che segue le strategie del suo editore e che sulla base dei suoi interessi-desideri è passata da posizioni garantiste a forcaiole nel giro di pochi minuti) è abbastanza consapevole della gravità dei problemi, degli orientamenti di fondo della società, e ha cercato di dare, con editoriali e opinioni, un contributo a stabilizzare la situazione, ma poi è stata strategicamente condizionata dalle sue star superqualunquiste, dai suoi piccoli, medi e grandi tagliagole con legami in procura, dall'effetto che le intercettazioni voyeuristiche hanno sulle vendite e non è stata in grado quindi – anche per una sua sostanziale viltà – di contenere il circuito mediatico giudiziario quando questo si è messo in movimento.
Avere una visione chiara sia degli elementi che danno fiducia sia dei rischi reali è la base per agire con assennatezza. Il primo punto da affrontare è l'emergenza: impedire che gli sfascia aziende tipo Mediaset e i lincia persone, gli anti Silvio Berlusconi, abbiano via libera. Ma insieme è decisivo restaurare un rapporto adeguato tra società, élite e politica: questa è l'unica via per aiutare a elaborare gli inevitabili conflitti di una comunità. Ma per ottenere questo risultato non basta la tattica (l'immunità o il salva Rete 4) ci vuole anche per tv e giustizia una grande riforma (la parola fa venire un nodo allo stomaco e avvicinare le mani a posti innominabili) che riesca a disegnare una nuova, aperta e trasparente società.
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